Il racconto

Comunali, Salvini è l'incubo Quota 20 per cento. Leghisti contro Borghi: è un kamikaze

Le ambiguità su vaccini e green pass tormentano i parlamentari. Iniziano i primi distinguo davanti al silenzioso Giorgetti. Le voci del dissenso

Simone Canettieri

In vista delle amministrative a Roma, Milano, Napoli e Bologna il Carroccio rischia di ritornare sotto il 20 per cento. I parlamentari attaccano: "Non abbiamo una linea chiara"

Cortile di Montecitorio,  c’è un gruppetto di leghisti che pascola. Si vede: hanno  bisogno di una camomilla. Devono calmarsi, ma la buvette è ancora chiusa. Vanno compresi. In Aula, da due giorni,  c’è il Claudio Borghi show.  L’alchimista che spiegava come uscire dall’euro la notte di Capodanno adesso  sta dettando la linea del Carroccio sul green pass e sui vaccini. Sui banchi del governo: Giancarlo Giorgetti. Serafico. Il ministro è scortato a distanza dalla sua comunicazione. Guai mezza parola.  Rieccolo, il partito  di  lotta e di governo. Una mezza dose che  non funziona e che fa precipitare Matteo Salvini nell’incubo “quota 20”. Voci dal gruppetto: “Se alle amministrative la Lega scenderà sotto il 20 per cento per il Matteo saranno guai”.  

Quota 100 è la riforma delle pensioni destinata a finire in disgrazia, e già anticipata nel burrone dal suo papà: Claudio Durigon, raro esempio di sottosegretario costretto ai giorni nostri a dimettersi per una dichiarazione (nel suo caso la storia demenziale della reintitolazione del parco Arnaldo Mussolini a Latina). “Quota 20” però è altro: è la soglia psicologica sotto la quale Salvini non può scendere il 3 e 4 ottobre nelle tante città che andranno al voto. 

 

Per paradosso anche l’ex Capitano mette in conto ormai un sorpasso di Giorgia Meloni, che alle mezze porzioni preferisce il menù completo dell’opposizione. Ma l’ipotesi che il Carroccio esca dal grand tour delle comunali senza avere il 2 davanti terrorizza il capo. Sarebbe un ritorno pericolosissimo al 2018 e soprattutto la chiusura di un cerchio. Alle ultime politiche infatti sbarcò in Parlamento con il 17,8 per cento e poi, come si sa, fu un crescendo bestiale (nel senso della macchina di propaganda social) e tutto a discapito del M5s.

E così arrivò il primo test alle regionali. Poi toccò alle Europee con il botto e il bacio al rosario: 34 per cento. Numeri mai visti in Via Bellerio. Poi insomma non bisogna ripetere l’inizio del declino salviniano. Sono cose che ormai si sanno a memoria tipo la formazione della vecchia Inter: la sbornia molesta del Papeete, l’uscita dal governo, le citofonate in Emilia-Romagna (“scusi, lei spaccia?”). E adesso c’è il governo Draghi. E tra meno di un mese tac: il test delle comunali. 

La situazione è preoccupante, percentuali alla mano.

 

A Roma la Lega è data sotto il dieci per cento con il candidato meloniano, Enrico Michetti, che sembra un passante appena sceso dal 64 barrato, l’autobus che porta dalla stazione Termini a San Pietro. Questo non aiuta nessuno, anche se Fratelli d’Italia è pronta perfino nella disgrazia a doppiare i leghisti.

A Milano, Salvini non si candida dopo quasi trent’anni in Consiglio comunale: i maligni dicono che abbia una fifa blu di quel funambolo  di Vittorio Feltri, capolista di Fratelli d’Italia. A Napoli le difficoltà della Lega sono note e affondano nella bocca e nei cori pro-Vesuvio. Bologna è una regola: il 20 per cento anche nella sconfitta lo vede con il binocolo. Rimane Torino, dove i sondaggi sono buoni per il Carroccio (al contrario per esempio di Novara) ma alla fine la media  potrebbe essere devastante. Quota venti. Che incubo, per Salvini. Pronto a dire che queste non sono politiche e che alle comunali ci sono le liste civiche. Ma il problema risiede nella linea a zig zag del partito che guida. Bisogna lisciare il pelo ai No vax e ai No pass o stare dalla parte delle imprese, specie del Nord, che vogliono regole serie per ripartire? 


Ecco sta parlando ancora Borghi. Tanti leghisti escono dall’Aula. Il capogruppo Riccardo Molinari mette su una faccia poco serena e sembra scuotere la testa. I deputati sono un po’ frastornati: “Dovevamo votare a favore, ora forse ci asteniamo o votiamo contro”. Serve una camomilla. Andrebbe bene anche una cosetta rinfrescante. Raffaele Volpi, che è stato presidente del Copasir ed è molto amico di Giorgetti, attraversa il cortile con passo marziale: “Borghi? Ormai sono resiliente a tutto, più del Pnrr”.

Ma qual è la linea della Lega? “Chiedete al segretario”. Sotto a un gazebo c’è sconforto. Il marchigiano Luca Paolini – “leghista dal 1993” – apre le braccia: “Purtroppo se dobbiamo essere la controfigura della Meloni la gente sceglie l’originale. Personalmente sono a favore del green pass esteso e sono anche per l’obbligatorietà e la terza dose”. Perfetto, ne ha parlato con il suo collega Borghi? “Sì, ma senza fortuna: i No vax sono come i kamikaze che si fanno esplodere pensando che poi Allah gli offrirà un paradiso con settanta vergini”. Questa va scritta.

Giuseppe Basini, vecchio liberale arrivato fino al seggio parlamentare con la Lega, scuote la testa: “Io voterò con il governo, credo nella scienza”. E poi racconta che l’altro giorno è caduto scendendo dal taxi e si è fatto male a un femore. “Avevo fatto la seconda dose, se lo sa Borghi dà la colpa ad Astrazeneca che provoca l’osteoporosi”. Insomma, manca una bussola. E in altre stanze i mugugni iniziano a essere pesanti. “Quota venti” spaventa Salvini. Un ritorno alle origini che potrebbe non dispiacere al partito del Nord. Perché state pensando a Zaia, Giorgetti e Fedriga?
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.