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Non dare pieni poteri all'estremismo: ora si può

Claudio Cerasa

Gli anticorpi ci sono. Lo schiaffo che arriva a Salvini dalle regionali è una lezione sull’altra Italia possibile

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I fotogrammi della splendida sconfitta registrata da Matteo Salvini in Emilia-Romagna, in quella regione di cui l’ex ministro dell’Interno chiese in mutande i pieni poteri da una famosa spiaggia del litorale romagnolo, possono essere messi a fuoco con precisione solo se inseriti all’interno di una pellicola ben più complessa e molto più ambiziosa la cui trama riguarda non una semplice elezione regionale ma una decisa e progressiva ribellione di un pezzo d’Italia contro la grammatica estremista veicolata dalla cultura populista.

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I fotogrammi della splendida sconfitta registrata da Matteo Salvini in Emilia-Romagna, in quella regione di cui l’ex ministro dell’Interno chiese in mutande i pieni poteri da una famosa spiaggia del litorale romagnolo, possono essere messi a fuoco con precisione solo se inseriti all’interno di una pellicola ben più complessa e molto più ambiziosa la cui trama riguarda non una semplice elezione regionale ma una decisa e progressiva ribellione di un pezzo d’Italia contro la grammatica estremista veicolata dalla cultura populista.

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Le elezioni in Emilia-Romagna hanno assunto un significato importante dal punto di vista simbolico non solo per la posta in gioco più importante – il tentativo di conquistare una delle storiche roccaforti della sinistra italiana e il tentativo di Salvini di trasformare un voto regionale in un referendum nazionale, tentativo magnificamente fallito – ma anche perché in Emilia-Romagna la Lega di Salvini ha provato a conquistare l’egemonia puntando forte su tre simboli politici divenuti quasi iconici: il Papeete di Milano Marittima, da cui venne trasmesso in eurovisione il delirio di onnipotenza di un ex ministro che sconta ancora oggi le conseguenze dei suoi peccati di hybris; la Bibbiano dei figli strappati di mano ai genitori a causa della sinistra, immagine utilizzata da Salvini per riattivare nella testa degli elettori un derivato dell’immagine dei comunisti che si mangiano i bambini; il Pilastro di Bologna, il quartiere diventato famoso grazie alla scelta fatta da Salvini di citofonare a reti unificate a una famiglia tunisina sospettata di essere non si sa bene su quali basi il principale veicolo di spaccio del quartiere.

 

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I dati delle regionali di ieri – e anche in Calabria, dove la Lega ha vinto, lo ha fatto perdendo dieci punti rispetto alle europee di maggio – ci dicono non solo che Salvini ha perso una regione che tutti i leghisti erano certi di vincere a mani basse (è finita 51 a 43). Ma ci dice anche che nei tre luoghi simbolo dell’attivazione della bestia salvinana l’estremismo di Salvini è stato respinto al mittente.

 

Nella terra del Papeete, ovvero nelle 29 sezioni di Cervia, Bonaccini ha conquistato il 48,3 per cento delle preferenze contro il 46,12 dell’avversaria (il look da tronista potrebbe essere stato d’aiuto al governatore uscente ed entrante). A Bibbiano, in provincia di Reggio Emilia, Bonaccini ha vinto con il 56,7 per cento dei voti. Al Pilastro, a Bologna, il Pd ha guadagnato consenso rispetto alle europee, la Lega ha perso tre punti e Bonaccini ha ottenuto 19 punti in più rispetto alla rivale della Lega. Il film relativo alle molte sberle ricevute negli ultimi mesi da Salvini è però un film che parte da lontano e si può dire senza paura di essere smentiti che la politica dell’estremismo è da mesi che si ritrova schiaffeggiata in ogni sua dimensione. E’ stata schiaffeggiata a maggio, quando l’Europa ha messo in minoranza il nazionalismo in versione salviniana. E’ stata schiaffeggiata ad agosto, quando il Parlamento sovrano ha messo in minoranza il populismo sovranista. E’ stata schiaffeggiata a dicembre, quando il nuovo ministro dell’Interno ha dimostrato che per governare l’immigrazione non occorre inseguire follower ma occorre ottenere risultati. E’ stata schiaffeggiata a dicembre, quando centinaia di migliaia di ragazzi in tutta Italia hanno strappato da sotto il naso di Salvini il monopolio mediatico della piazza. E’ stata ancora schiaffeggiata a dicembre quando la Lega ha cercato di far rivivere i suoi istinti antieuropeisti attaccando in modo furioso una riforma del Fondo salva stati i cui dettagli erano stati negoziati proprio dal governo guidato dalla Lega.

  

E’ stata schiaffeggiata a gennaio, quando Salvini si è ritrovato così nell’angolo sul caso Gregoretti al punto da essere costretto a dire ai suoi parlamentari di mandarlo a processo per tentare di trasformare una sconfitta in una vittoria. E’ stata schiaffeggiata ancora a gennaio quando la Consulta ha bocciato per “eccessiva manipolabilità” il quesito referendario con cui la Lega ha cercato (altro schiaffo) di evitare di essere condannata a un futuro governato da un sistema proporzionale. E’ stata schiaffeggiata a metà gennaio quando Bankitalia ha bocciato senza appello quota 100 mettendo in luce la sua incapacità di fare quello che aveva promesso di fare la Lega ovvero creare nuovi posti di lavoro. E’ stata schiaffeggiata ieri quando i leghisti hanno notato ancora una volta che la stabilità finanziaria dell’Italia è direttamente proporzionale a quanto Salvini sia distante dai banchi del governo. I molti schiaffi offerti recentemente dalla realtà della politica alla Lega di Matteo Salvini sono schiaffi che non riguardano un solo soggetto politico ma che riguardano una pratica della politica che con una certa velocità ha perso consistenza negli ultimi mesi.

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E la trasformazione dell’invincibile Salvini in un politico vincibile va di pari passo con un altro fenomeno spettacolare illuminato con una certa chiarezza dalle elezioni in Emilia-Romagna e in Calabria: la scomparsa elettorale del M5s (in Emilia--Romagna il candidato grillino ha preso il tre per cento, poco più di Potere operaio, in Calabria il M5s è passato dal 43 per cento del 2018 al 7 per cento di domenica) e la sua simmetrica esplosione in Parlamento. Rispetto al 4 marzo del 2018, i due partiti populisti che avrebbero dovuto riscrivere le coordinate della politica italiana si trovano in una condizione difficile da immaginare fino a qualche mese fa: uno è ancora forte dal punto di vista elettorale ma è irrilevante dal punto di vista parlamentare; l’altro è ancora forte dal punto di vista parlamentare ma è irrilevante dal punto di vista elettorale. In due anni di legislatura un pezzo significativo del paese ha scelto di fare del suo meglio per togliere i pieni poteri dalle mani dei professionisti dell’estremismo. In questo senso, i fotogrammi dell’Emilia-Romagna – distruzione del grillismo, sconfitta del leghismo, ritorno di una forma aggiornata di vecchio bipolarismo – si inseriscono all’interno di questo film e ci suggeriscono una riflessione finale: in un paese come l’Italia provare a conquistare il potere a colpi di estremismo significa semplicemente essere fuori come un citofono. Ops.

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