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Viva il d-day dei vaccini! E ora pensiamo al virus della gogna mediatica

Claudio Cerasa

Quando un’accusa è una condanna in prima pagina  e l’assoluzione una non notizia. Sette nomi, sette storie necessarie per capire il futuro dell’Italia e anche un po’ della sua informazione. Appunti per abbattere il muro della vergogna

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Direte: ma che c’entrano queste storie? E che ci importa di questi nomi? E perché, alla fine di un anno come quello che abbiamo vissuto, è importante non dimenticare queste follie? E soprattutto perché parlarne oggi, nel  d-day dei vaccini? Seguite il filo, prendete carta e penna e capirete perché, tre le mille storie della pandemia, le sette storie che vi stiamo per raccontare sono storie decisive per capire il futuro dell’Italia e anche un po’ della sua informazione. Avete presente il muro della vergogna? Ecco.

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Direte: ma che c’entrano queste storie? E che ci importa di questi nomi? E perché, alla fine di un anno come quello che abbiamo vissuto, è importante non dimenticare queste follie? E soprattutto perché parlarne oggi, nel  d-day dei vaccini? Seguite il filo, prendete carta e penna e capirete perché, tre le mille storie della pandemia, le sette storie che vi stiamo per raccontare sono storie decisive per capire il futuro dell’Italia e anche un po’ della sua informazione. Avete presente il muro della vergogna? Ecco.

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Il primo protagonista della nostra storia si chiama Fabio Riva ed è nato a Milano il 20 luglio del 1954. Riva è un imprenditore, è l’ex vice presidente del Gruppo Riva ed è stato arrestato il 21 gennaio del 2013 dalla polizia di Londra con mandato di cattura europeo nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente svenduto” riguardante l’Ilva di Taranto con l’accusa di disastro ambientale. Sette anni dopo, nel 2020, dopo molto fango, molte infamie, poche lodi e molti espropri, la Corte d’appello di Milano lo ha assolto dall’accusa di bancarotta per il crac della holding Riva Fire, holding che controllava l’Ilva fino al 2012, prima dell’esproprio di stato per decreto. La stessa sentenza ha fissato che lo stabilimento di Taranto osservava, all’epoca dei fatti, i limiti emissivi previsti dalle leggi. Avete letto qualcosa sui giornali relativamente alle accuse mosse a Riva? Certo. Avete letto qualcosa sui giornali rispetto alla sentenza di assoluzione? Risposta esatta.

 

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Il secondo protagonista della nostra storia si chiama Calogero Mannino. Mannino è nato ad Asmara il 20 agosto 1939, è stato un importante volto della Democrazia cristiana, è stato più volte ministro della Repubblica e dal 1991 è costretto ad affrontare processi all’interno dei quali i pm tentano in modi diversi di accostarlo alla mafia. Nel 1995 succede anche che la procura di Palermo, guidata da Gian Carlo Caselli, ottiene persino l’arresto di Mannino, ipotizzando il concorso esterno in associazione mafiosa. L’ex ministro trascorre nove mesi in carcere e altri 13 mesi agli arresti domiciliari. Quindici anni dopo, nel 2010, viene assolto in via definitiva da tutte le accuse. Poi gli anni passano, Mannino viene accusato di altro, viene accusato di essere stato un promotore della trattativa stato-mafia, e ci risiamo: altri dieci anni di gogna. Si arriva poi al 2020, con la Corte di cassazione che, dopo 30 anni di infamie, assolve anche qui definitivamente l’ex ministro. In una intervista concessa al Fatto, a dicembre, Gian Carlo Caselli, sempre lui, ha sostenuto che l’assoluzione definitiva di Mannino fu in realtà il frutto di un improvviso mutamento giurisprudenziale della Cassazione, che avrebbe cambiato le regole in corso d’opera: “Come se durante una partita di calcio, nell’intervallo fra i due tempi, qualcuno decidesse che è calcio di rigore solo quando il fallo viene commesso nell’area piccola”. Davigo fa scuola: non esistono innocenti, in politica, ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca. Avete letto qualcosa sui giornali relativamente alle accuse mosse a  Mannino in questi anni? Certo. Avete letto molto sui giornali rispetto alla sentenza di assoluzione? Risposta esatta.

  

  

La terza protagonista della nostra storia si chiama Nunzia De Girolamo. De Girolamo è nata a Benevento il 10 ottobre del 1975, è una ex politica, una ex deputata di Forza Italia e dal 28 aprile 2013 al 27 gennaio 2014 è stata ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali del governo Letta. Durante quell’esperienza, quando venne condannata fino a prova contraria, si ritrovò implicata, per aver cercato di influire secondo l’accusa su alcune nomine in una Asl di Benevento, in una indagine in cui venne accusata, nell’ordine, di associazione a delinquere, concussione, abuso d’ufficio. Anni dopo, otto anni di gogna dopo, Nunzia De Girolamo verrà assolta con formula piena, perché il fatto non sussiste, pochi giorni dopo la richiesta del pubblico ministero di otto anni e tre mesi di condanna. Avete letto qualcosa sui giornali relativamente alle accuse mosse a De Girolamo? Certo. Avete letto qualcosa sui giornali rispetto alla sentenza di assoluzione? Risposta esatta.

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Il quarto protagonista della nostra storia si chiama Marco Tronchetti Provera. Tronchetti Provera è nato a Milano il 18 gennaio 1948, è un imprenditore e manager, è amministratore delegato del gruppo Pirelli dal 1992, dal 2001 al 2006 è stato presidente di Telecom Italia e da sette anni combatte con una vicenda giudiziaria aperta dalla procura di Milano. Accusa contro Tronchetti Provera: ricettazione. La vicenda risale al 2004, quando l’allora presidente di Telecom Italia, come raccontato da Ermes Antonucci, si scontrò con alcuni fondi di investimento brasiliani per il controllo di Brasil Telecom e Giuliano Tavaroli, all’epoca capo security di Telecom, consegnò a Tronchetti un cd contenente le prove di un’attività di spionaggio compiuta dall’agenzia Kroll nei suoi confronti su mandato dei rivali brasiliani. Tronchetti fu così condannato a venti mesi in primo grado, poi nel 2015 venne assolto in Appello, l’anno seguente, però, la Corte di cassazione annullò l’assoluzione, nel 2017 il nuovo processo di appello confermò l’assoluzione per il manager, la sentenza venne poi nuovamente annullata dalla Cassazione, nel 2018 il processo di appello ter vide riassolvere per la terza volta Tronchetti e nel 2020 la Corte di cassazione lo ha assolto in via definitiva. Avete letto qualcosa sui giornali relativamente alla condanna di Tronchetti? Certo. Avete letto qualcosa sui giornali rispetto alla sentenza di assoluzione? Risposta esatta.

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Il quinto protagonista della nostra storia si chiama Maurizio Venafro. Venafro è nato a Roma nel 1955, è stato per una vita l’ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti alla Regione Lazio e ai tempi dell’inchiesta di Mafia Capitale, che poi mafia non era, è stato accusato di turbativa d’asta in uno dei filoni dell’inchiesta, sulla base di un’accusa legata all’affidamento della gara d’appalto per l’assegnazione del servizio Cup della Regione Lazio nel 2014, per la quale la procura, nel 2017, aveva ipotizzato un sistema di spartizione tra le cooperative in base all’area di riferimento politica. Venafro è stato prima assolto in primo grado, poi condannato in appello, poi, nel 2020, la Cassazione ha riconosciuto la sua piena innocenza. Avete letto qualcosa sui giornali relativamente alla condanna di Venafro e ai suoi inevitabili intrecci con il presunto sistema Zingaretti? Certo. Avete letto qualcosa sui giornali rispetto alla sentenza di assoluzione? Risposta esatta.

  

   

Il sesto protagonista della nostra storia si chiama Antonio Bassolino. Bassolino è nato ad Afragola il 20 marzo del 1947, è stato deputato, sindaco di Napoli, ministro del Lavoro e presidente della Regione Campania dal 18 maggio 2000 al 17 aprile 2010. Nel 2003, la procura della Repubblica di Napoli, “in seguito a denuncia di Sodano Tommaso”, senatore di Rifondazione comunista, aprì un primo filone di indagine contro di lui e da quel processo ne sono stati generati altri 18 i quali hanno prodotto 140 udienze e diciassette anni di gogna infinita. Bassolino, negli anni, è stato accusato di frode in pubbliche forniture, truffa ai danni dello stato, abuso di ufficio, falso e reati ambientali, e nel 2020 è stato assolto anche nell’ultimo processo in cui era indagato perché il fatto non sussiste. In un’intervista rilasciata al Corriere del Mezzogiorno pochi giorni dopo l’ultima assoluzione, Giandomenico Lepore, capo della procura di Napoli al tempo delle 19 inchieste su Bassolino, ha onestamente riconosciuto che “qualche errore su Bassolino lo abbiamo commesso”, ma nel riconoscere gli errori rivendica un principio spaventoso. “Era il 2010 e anche se il picco dell’emergenza rifiuti era superato le strade rimanevano ingombre di sacchetti. Ci chiedevamo in che modo spingere i sindaci a intervenire, a darsi da fare, e ci venne in mente di contestare l’epidemia colposa. Funzionò abbastanza bene, servì da sprone”. In sostanza, Lepore dice che sì: se la magistratura, pur in assenza di prove, costringe la politica a prendere una direzione “giusta”, la magistratura ha fatto il suo lavoro. Quanti articoli avete letto sui giornali, quest’anno, contro la gogna patita da Bassolino? Risposta esatta.

    

   

Il settimo protagonista della nostra storia si chiama Leopoldo Di Girolamo. Di Girolamo è nato a Montorio al Vomano l’11 agosto 1951, è un politico e medico italiano, è stato deputato, è stato per due volte senatore, è stato presidente della Provincia di Terni e dal 22 giugno del 2009 al 22 febbraio del 2018 è stato anche sindaco della stessa Terni, capo di una giunta poi caduta a seguito di un’inchiesta su alcuni presunti appalti truccati che nel 2017 portò agli arresti domiciliari dello stesso Di Girolamo, con la successiva elezione, nel 2018, del primo sindaco leghista nella storia della città umbra, Leonardo Latini. “Il sindaco del Pd di Terni – disse all’epoca Salvini, all’unisono con tutto lo stato generale del M5s – è figlio di una cultura che va cancellata dall’Italia”. Cancellata. Il 16 ottobre il tribunale di Terni ha assolto Leopoldo Di Girolamo e tutti gli altri 18 imputati del processo “Spada” da tutte le accuse. Avete letto qualcosa sui giornali relativamente alle accuse mosse all’ex sindaco di Terni? Certo. Avete letto qualcosa sui giornali rispetto alla sentenza di assoluzione? Risposta esatta.

   

   

Direte: ma che c’entrano queste storie? E che ci importa di questi nomi? E perché, alla fine di un anno come quello che abbiamo vissuto, è importante non dimenticare queste follie? La ragione è semplice. Si dice spesso, e a ragione, che l’anno post pandemico, ovvero il prossimo, sarà un anno in cui l’Italia verrà ripensata, in cui l’Italia verrà ricostruita, in cui l’Italia verrà ridefinita a puntino.

   

Parlare del Recovery è dunque opportuno, ragionare sul Next Generation Ue è sacrosanto, ragionare sugli equilibri di governo è necessario, ma la verità è che l’Italia non cambierà fino a quando il mondo della nostra classe dirigente, il mondo della nostra classe politica e soprattutto il mondo del nostro giornalismo continueranno a ritenere un fatto del tutto normale la presenza nel nostro paese di un circo mediatico-giudiziario che non si limita a distruggere la vita degli altri sulla base di un sospetto ma che arriva a considerare una notizia solo una condanna e arriva a considerare una non notizia un’assoluzione. Sei indagato e ti sputtano a tutta pagina. Sei innocente e lo ricordo in un trafiletto a pagina trenta.

  

Se c’è una battaglia trasversale che merita di essere combattuta nell’anno che verrà, oltre a quelle che dovranno aiutare l’Italia a ritrovare se stessa dopo l’anno pandemico, è quella finalizzata ad abbattere, con tutte le nostre forze, il nostro muro della vergogna. Sempre e con tutti, cari amici di destra, cari amici di sinistra, cari amici grillini, cari amici leghisti, e non solo, come capita oggi, quando gli indagati parlano la nostra stessa lingua politica. Il d-day dei vaccini, che vedremo in scena oggi anche in Europa, ci ricorda che è finalmente possibile vedere una luce in fondo al tunnel. Ma quella luce non potrà che essere fioca se l’Italia si preparerà a ritornare alla normalità senza preoccuparsi di come sbarazzarsi dei suoi vizi e senza preoccuparsi di come trovare un vaccino per un virus che resisterà anche quando la pandemia non ci sarà più: la vergogna dell’Italia ostaggio dei signori della gogna.

  

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