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populismi che cambiano

L’incognita Desantis: "Un Trump ma con il cervello"

Giulio Silvano

Crist, ex repubblicano passato ai democratici, sfiderà alle prossime elezioni che eleggeranno il governatore della Florida, quello attuale, che alcuni chiamano DeSatan e che sembra destinato a correre alle prossime presidenziali 

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In una puntata di 30 Rock, la serie tv di Tina Fey con Alec Baldwin, le elezioni presidenziali del 2012 – Romney contro Obama – vengono decise interamente da un gruppo di abitanti del nord della Florida. Gente che vive in spiaggia, beve cocktail con gli ombrellini e vuole solo rilassarsi. Il loro voto basta a far vincere lo stato a uno dei due candidati assicurandogli sufficienti delegati per la vittoria totale, a prescindere da quello che voterà il resto del paese. Un’esagerazione, certo, ma con il sistema del collegio elettorale a volte una sola contea è sufficiente per ribaltare uno stato, e uno stato per ribaltare la nazione; la targetizzazione social verso gli indecisi elaborata da Cambridge Analytica ha funzionato anche per questo.

 

La Florida è sempre stata centrale nelle presidenziali per via di un sistema dove, quasi ovunque, chi prende la maggioranza dello stato si prende tutti i suoi delegati. La Florida ne ha 29, un numero importante – solo Texas e California ne hanno di più. Lo stato era già diventato protagonista nella sofferta sconfitta di Al Gore contro George W. Bush nel 2000. Gore era stato dato per vincitore, poi i numeri della Florida avevano ribaltato il risultato incoronando Bush: erano stati ricontati i voti in alcune contee e la Corte suprema aveva decretato il vincitore, per 537 voti. Secondo alcuni ci sarebbero state irregolarità suoi riconteggi, considerato anche che Jeb, il fratello di Bush, era  governatore dello stato. Ma non era certo l’epoca in cui si andava davanti al Congresso a protestare e la transizione di potere andò liscia. 

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La Florida è uno stato che solitamente va a chi diventa presidente– qui Obama ha vinto entrambe le volte. Ma da perenne swing state sembra negli ultimi tempi spostarsi sempre di più verso destra – Trump infatti si è preso lo stato nel 2020 pur avendo perso le presidenziali, Biden si è preso solo le città: Miami, Tampa, Tallahassee, Palm Beach e Jacksonville (i soliti dem da Ztl che esistono anche in America). Qui dal 1999 non c’è più stato un governatore dem. 
Ora al Campidoglio di Tallahasse c’è Ron DeSantis, che ha implementato diverse politiche che hanno fatto incollerire i liberal. La scorsa settimana è entrato molto chiacchierato su Twitter l’hashtag #DeSantisDestroysFlorida. Sotto apparivano fotomontaggi piuttosto scadenti dove il governatore della Florida veniva mostrato con l’uniforme nazista, con i baffetti à la Hitler, o con le corna da diavolo.

 

Alcuni lo chiamano DeSatan. Altri dicono che se Trump era terribile, lui è ancora peggio. Il motivo è l’ultima trovata del governatore per risolvere la carenza di insegnanti dello stato: dare la possibilità a ex poliziotti, pompieri e soccorritori ospedalieri – con un diploma del college – di riempire i 9.000 posti vacanti nelle scuole. “Crediamo che la gente che ha servito le nostre comunità abbia ancora parecchio da offrire”, “i poliziotti in pensione sono alla ricerca del prossimo capitolo della loro vita”, ha detto. DeSantis ha più volte affermato che le scuole sono “schiacciate dall’ideologia” e che i veterani possono portare una nuova prospettiva più pratica all’educazione. 
Tra le policy del governatore c’è poi la creazione di un’unità speciale contro i crimini elettorali che ha compiuto a metà agosto i suoi primi arresti. La squadra si occupa di scovare persone che hanno votato anche se non potevano farlo, cioè ex detenuti condannati per stupro o per omicidio. Secondo i calcoli, parliamo di circa venti persone su diversi milioni di abitanti, e per i dem è solo un’azione intimidatoria, un modo per allontanare le persone dai seggi.

 

Tra i vari disegni di legge lanciati da DeSantis da quando ha preso il potere nel 2019, è diventato un caso nazionale quello che i suoi detrattori chiamano il “Don’t Say Gay bill”, che vieta agli insegnanti di coprire a scuola temi Lgbtq+, o argomenti non considerati “appropriati per l’età degli studenti”. Dopo che la Disney, diventata paladina dell’inclusività, l’ha criticato, il governatore come rappresaglia ha firmato una legge per togliere ai parchi Disney World di Orlando il loro regime fiscale speciale esistente dagli anni Sessanta. Operazione vendetta molto à la Trump.
E poi c’è lo “Stope Woke Act”, un disegno di legge nato per bloccare “l’indottrinamento woke” nelle scuole e nei posti di lavoro, un vero piano anti-liberal. La legge riguarda soprattutto la Critical Race theory, secondo la quale la razza è un costrutto sociale e le relazioni di potere derivanti dal razzismo sono radicate nel sistema legale e nelle istituzioni. L’opposizione a questa teoria, che va indietro agli anni della segregazione, era stato un tema della campagna elettorale presidenziale. Fox News la citava quasi ogni giorno. Trump aveva anche firmato un ordine esecutivo per cancellare i finanziamenti a tutti i programmi delle agenzie federali che menzionavano il “privilegio bianco” (ordine revocato poi da Biden). L’alt-right colpevolizza spesso George Soros e la sua fondazione di voler diffondere la Critical Race theory, che vorrebbe trasformare l’uomo bianco in automatico oppressore e i neri in povere vittime del sistema, a prescindere dalla situazione. 

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All’ultimo censimento la Florida è a maggioranza bianca (53 per cento), seguono gli ispanici (26 per cento) e gli afroamericani (15 per cento); le minoranze si concentrano soprattutto a Miami, Orlando e Tallahassee. Negli ultimi tempi la popolazione ispanica ha contribuito a questo spostamento verso destra, allontanandosi dal partito democratico, e sono queste le comunità che vengono corteggiate dai candidati. Tra gli spot televisivi e le visite nei quartieri, i vari politici locali negli scorsi mesi hanno cercato di fare microtargeting tra le comunità colombiane, messicane, cubane. Poco meno del 20 per cento degli elettori registrati sono parte della comunità latinoamericana, ma sono sufficienti per ribaltare il risultato di un distretto o dell’intero stato. 
Uno dei politici più in vista della Florida è il senatore Marco Rubio, di origini cubane, molto critico verso Trump da quando erano entrambi candidati alle primarie per la nomination presidenziale nel 2016. Rubio l’aveva accusato di essere un “maestro della truffa”, mentre Trump lo prendeva in giro chiamandolo “little Marco”. Rubio aveva abbandonato la corsa, sostenendo poi subito l’ex rivale e tornando a fare il senatore. Mentre Trump era alla Casa Bianca, Rubio gli si è avvicinato, diventando centrale nelle questioni di politica estera in America latina, in particolare nei rapporti con il Venezuela. Un trumpiano di convenienza, come molti membri del GoP, che non hanno saputo combattere la deriva da reality show come ha fatto Liz Cheney negli ultimi tempi.  

 

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E DeSantis cos’è? C’è chi lo chiama l’erede naturale di Trump, e chi invece ne vede il probabile antagonista principale nel 2024. DeSantis, che ha implementato alcune delle politiche più blande nei confronti del Covid-19, schierandosi contro l’obbligo della mascherina e dei lockdown, ha un curriculum presidenziale: Yale, poi Harvard Law, la marina nei corpi speciali e l’Iraq nel 2007. Ha 43 anni ed è sposato con la giornalista televisiva, specializzata in programmi sul golf, Casey Black; hanno tre figli, Madison, Mamie e Mason. Alcuni lo definiscono “un Trump ma con il cervello”. Ha modi di fare molto meno circensi e negli ultimi tempi ha difeso l’ex presidente – come sul raid dell’Fbi a Mar-a-Lago – ma l’ha sempre fatto senza sembrare troppo trumpiano, troppo fedele, troppo schierato. Di recente il Washington Post ha inserito il governatore della Florida in cima alla lista dei possibili candidati repubblicani alle prossime presidenziali, appena sopra Trump.

 

Rivale o erede, la sua visibilità e il suo pugno duro lo rendono un personaggio di punta del GoP, e potrebbe essere il volto della metamorfosi dell’establishment post-trumpiana. Nel frattempo, essendo ancora presto per annunciare la corsa per il 2024, DeSantis si ricandida alla posizione di governatore, senza dover affrontare alcun oppositore alle primarie di partito. A novembre dovrà scontrarsi con Charlie Crist, che martedì è stato scelto come nome democratico con il 59,7 per cento dei voti, vincendo contro Nikki Fried, che aveva descritto DeSantis come “un dittatore autoritario al limite del fascismo”.
Charlie Crist è un’altra figura interessante che mostra come è cambiato il GoP negli ultimi decenni. È stato governatore della Florida dal 2007 al 2011, eletto con il Partito repubblicano, sostenitore di John McCain alle presidenziali, quando ha deciso di candidarsi senatore è stato battuto da Marco Rubio alle primarie.

 

Dopo due anni di pausa politica ha sorpreso molti: prima appoggiando Obama alle presidenziali del 2012 e poi lasciando il partito e diventando un democratico. Ha raccontato la sua scelta nel libro The Party’s Over: How the Extreme Right Hijacked the GOP, un precursore di quella corrente che si è accorta, colo con l’esplosione del trumpismo, che il Partito repubblicano aveva iniziato a basare la sua politica sulla divisone profonda dell’elettorato su alcuni temi chiave: aborto, immigrazione, armi, diritti civili. Crist ci aveva visto lungo, abbandonando l’elefante prima che iniziasse a fare acqua. Una delle accuse mosse al partito fu il profondo razzismo che uscì fuori quando Obama si dovette scontrare con Romney.

 

Scrisse Crist in modo eufemistico: “Non riuscirei a essere coerente con me stesso e con i miei valori più profondi restando in un partito così poco amichevole verso un presidente afro-americano”. Se a novembre DeSantis dovrà sfidare Crist alle urne, la lotta per il senato invece vedrà contrapposti Marco Rubio, anche lui candidato incontrastato del partito, contro Val Demings, deputata della Florida afroamericana che era stata impeachment manager nelle udienze del congresso contro Trump, e alcuni l’avevano indicata come possibile VP di Biden, posto andato poi a Kamala Harris. In base a come andranno le elezioni di novembre si capirà molto di come la Florida potrebbe indirizzarsi alle prossime presidenziali, e di come potrebbe cambiare la mappa elettorale per il 2024.

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