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La mossa Putin, tocca alla Libia

Daniele Ranieri

I russi intervengono con gli aerei nel paese africano ma non sarà una Siria bis. Questa volta hanno contro un governo legittimo, non possono bombardare Tripoli

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Ieri Africom, che è il comando del Pentagono che si occupa di quello che succede in Africa, ha annunciato che la Russia ha spostato in Libia alcuni aerei da guerra per dare appoggio ai mercenari russi della compagnia Wagner che sono là da ottobre. I russi prima hanno portato gli aerei in Siria perché fossero ridipinti in modo da essere meno identificabili e poi li hanno fatti atterrare in almeno due basi libiche sotto il controllo del generale Haftar. Una delle due basi è al Jufra nel centro del paese, che fa da scalo per tutta la campagna di aggressione scatenata da Haftar contro Tripoli, l’altra è al Khadim a est di Bengasi – che è il centro del potere del settantacinquenne generale libico. La tappa in Siria dev’essere servita anche per qualcos’altro perché ridipingere gli aerei non poteva bastare a ingannare gli analisti. E infatti la notizia circolava già dal 21 maggio – scoop del giornalista Samer al Atrush per Bloomberg News – ma adesso c’è la conferma pubblica del Pentagono, con foto satellitari e immagini scattate da vicino. Gli aerei spia americani hanno fotografato gli aerei russi prima ancora che atterrassero.

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Ieri Africom, che è il comando del Pentagono che si occupa di quello che succede in Africa, ha annunciato che la Russia ha spostato in Libia alcuni aerei da guerra per dare appoggio ai mercenari russi della compagnia Wagner che sono là da ottobre. I russi prima hanno portato gli aerei in Siria perché fossero ridipinti in modo da essere meno identificabili e poi li hanno fatti atterrare in almeno due basi libiche sotto il controllo del generale Haftar. Una delle due basi è al Jufra nel centro del paese, che fa da scalo per tutta la campagna di aggressione scatenata da Haftar contro Tripoli, l’altra è al Khadim a est di Bengasi – che è il centro del potere del settantacinquenne generale libico. La tappa in Siria dev’essere servita anche per qualcos’altro perché ridipingere gli aerei non poteva bastare a ingannare gli analisti. E infatti la notizia circolava già dal 21 maggio – scoop del giornalista Samer al Atrush per Bloomberg News – ma adesso c’è la conferma pubblica del Pentagono, con foto satellitari e immagini scattate da vicino. Gli aerei spia americani hanno fotografato gli aerei russi prima ancora che atterrassero.

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Gli aerei spia americani hanno fotografato l’arrivo degli aerei da guerra russi prima ancora che atterrassero

Come i mercenari russi della compagnia Wagner, circa un migliaio, anche i velivoli riverniciati consentiranno al governo di Putin lo strano esercizio di dichiararsi non coinvolto nel conflitto in Libia anche se tutti ormai danno per scontata la sua partecipazione. Non sono il meglio a disposizione della Russia, sono dodici apparecchi sacrificabili secondo gli avvistamenti fatti finora (il numero reale potrebbe essere differente), ma hanno il potenziale per essere devastanti in una guerra come quella in Libia dove i combattenti girano in sandali e camionette. Ed è subito effetto flashback che porta a quello che è successo cinque anni fa.

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Nell’agosto 2015 la Russia cominciò a spostare con molta discrezione aerei da guerra e altro materiale bellico in un aeroporto militare sulla costa della Siria. Anche quando la manovra divenne evidente, il governo russo negò con decisione di volere intervenire nel conflitto siriano. Soltanto quando tutti i pezzi furono al proprio posto, alla fine di settembre, la Russia annunciò l’inizio di un’operazione di soccorso militare a favore del rais siriano Bashar el Assad – che in quell’anno era sul punto di perdere la guerra civile. I russi avevano capito che la guerra siriana era una sequenza infinita di piccole battaglie in cui si affrontavano poche centinaia di combattenti per volta e che sarebbe bastato pochissimo per far prevalere l’una o l’altra parte grazie ai bombardieri. Avevano anche realizzato che se avessero cambiato il corso di un numero sufficiente di scontri a terra, per quanto fossero minuscoli, alla fine la somma avrebbe deciso il corso di tutta la guerra e così fu. I circa quaranta aerei ed elicotteri russi rovesciarono la situazione sul campo e i soldati di Assad che avevano perso migliaia di avamposti e di basi uno dopo l’altro cominciarono una lunga reconquista. La stragrande maggioranza dei raid aerei non colpì l’est del paese, dove lo Stato islamico fondava il suo Califfato, ma colpì il nord-ovest, dove c’era una varietà di gruppi nazionalisti sempre più deboli e di gruppi islamisti sempre più forti. Tuttavia la campagna aerea non era ancora sufficiente. Allora russi e iraniani organizzarono un assortimento di milizie straniere con mercenari che arrivavano dal Pakistan, dall’Afghanistan, dal Libano e dall’Iraq e lo schierarono alla testa delle operazioni. Tra milizie straniere a terra e bombardamenti dall’alto, la guerra che sembrava perduta si trasformò per Assad in una rimonta.

 

La sorpresa siriana si ispirava a un altro successo del decisionismo russo, l’annessione della Crimea – la grande penisola ucraina – avvenuta nel febbraio 2014. Militari di origine ignota, senza mostrine e senza simboli e con una divisa anonima che procurò loro il nome di “omini verdi”, occuparono con un blitz alcune infrastrutture strategiche della Crimea come aeroporti e basi navali e tagliarono i collegamenti con il resto dell’Ucraina. Poi, sempre con gli omini verdi e armati di tutto punto nelle strade, la Russia organizzò un referendum-lampo (che la comunità internazionale ha dichiarato nullo) per sostenere che la popolazione della Crimea volesse che la sua terra fosse parte della Russia. Gli omini verdi erano unità russe. E’ la ragione per la quale oggi ci sono le sanzioni internazionali contro Mosca – che ogni tanto diventano materia di discussione politica anche in Italia.

 

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Come i mercenari, anche gli aerei ridipinti dovrebbero consentire a Mosca di negare l’intervento. Ma chi ci crede?

E invece no. Secondo le informazioni più solide disponibili oggi, gli aerei da guerra russi non saranno usati per appoggiare il generale Haftar nella sua campagna per conquistare Tripoli. Quella, come vedremo più avanti, è stata azzerata dall’intervento della Turchia e inoltre se i bombardieri cominciassero a colpire la capitale i costi diplomatici potrebbero essere troppo duri persino per la Russia. Due giorni fa circa un migliaio di mercenari russi e siriani di Haftar (ci sono siriani che combattono su entrambi i fronti) ha abbandonato le sue posizioni a sud di Tripoli e si è ritirato molto più a est. Prima di andare via i mercenari hanno anche seminato con migliaia di mine e trappole esplosive il territorio, in modo da renderlo impraticabile e rallentare i nemici. E’ il segno che non ci sarà una nuova avanzata e che gli aerei non servono per ora a riattizzare una campagna morta, ma piuttosto a evitare il collasso delle forze del generale Haftar che sono state decimate dai droni della Turchia. L’aggressione contro Tripoli è andata così male che c’è il rischio che le forze del premier tripolino Fayez al Serraj siano tentate di ribaltare del tutto la situazione e comincino a spingere verso i pozzi di petrolio a sud del golfo della Sirte e verso Bengasi. Gli aerei russi in questo caso fanno da garanzia di un ritiro ordinato, senza inseguimenti. Il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, lo ha detto a Haftar: la soluzione militare è inutile. Lo scenario potrebbe essere questo: il generale rinuncia per ora al suo sogno di diventare uomo forte della Libia e consolida il suo potere nella Cirenaica. La Russia di Putin al prezzo di una dozzina di aerei si prende un ruolo dominante in questo governatorato con vista magnifica sul Mediterraneo e sull’Europa.

  

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“La Russia vuole chiaramente ribaltare i rapporti di forza in Libia e spostarli a suo favore – dice il generale americano Stephen Townsend, comandante di Africom – Per troppo tempo la Russia ha negato il suo coinvolgimento nel conflitto libico in corso. Ora non può più negarlo. Abbiamo seguito passo passo come la Russia ha spostato i suoi jet di combattimento di quarta generazione in Libia”. Townsend spiega che le milizie di Haftar e i mercenari russi non sono in grado di operare con quel tipo di aerei senza l’appoggio di uno stato “ed è quello che sta facendo la Russia”. “I bombardieri saranno pilotati da mercenari russi”.

  

Ancora un paio di passaggi: “Secondo la valutazione dell’U.S. Africa Command la Russia non è interessata a ciò che è meglio per il popolo libico, ma sta invece lavorando per raggiungere i propri obiettivi strategici”. Il generale dell’aeronautica militare americana Jeff Harrigian avverte che se i russi si piazzano sulla costa libica “allora il prossimo passo logico per loro sarà schierare sistemi di interdizione aerea a lungo raggio e quando succederà ci saranno problemi di sicurezza sul fianco sud dell’Europa”, cioè quello dell’Italia.

  

La Russia sposta bombardieri in Libia e viene in mente – come non potrebbe – la nota distribuita ai giornalisti dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, quando il 17 dicembre incontrò Haftar a Bengasi (poche ore prima aveva incontrato il premier Fayez al Serraj a Tripoli ): “Di Maio e Haftar si trovano, si prendono, tanto che lo stesso Haftar a un certo punto si lascia andare: ‘Lei deve essere orgoglioso di se stesso, può essere l’esempio di tutti i giovani libici, un modello. Se l’avessi conosciuta prima, oggi forse avremmo già firmato un accordo. Rivediamoci. Anche il mese prossimo, a Roma’, gli dice Haftar. ‘Le sue parole sono importanti, io sono dell’idea che bisogna smetterla con le foto opportunity e darsi da fare concretamente’, replica Di Maio”. I russi hanno organizzato meno incontri ufficiali e meno photo opportunity dell’Italia, ma in quanto a darsi da fare concretamente non hanno aspettato. Più che sulla moral suasion di Di Maio, Haftar fa affidamento su di loro.

  

Un’altra grande differenza tra la Siria e la Libia è che in Siria i russi potevano dire di essere in guerra contro milizie irregolari e contro fanatici islamisti. Invece in Libia il governo di Tripoli è riconosciuto dalle Nazioni Unite e in pratica è apparso nel 2016 come creazione della diplomazia italiana per favorire la riconciliazione tra i libici. E’ stato poi Haftar a gettare via ogni possibilità di negoziato e a dare il via all’offensiva per prendere la capitale libica “in due giorni”. Ora i bombardieri russi colpiranno quello stesso governo di Tripoli che l’Italia considerava fondamentale per molte questioni, dalla lotta al traffico di uomini alla sicurezza energetica. Chissà cosa ne pensa il leader della Lega, Matteo Salvini, che dedicò il suo primo viaggio all’estero da ministro proprio al governo di Tripoli e che definiva le milizie di Haftar “ribelli” – perché in questo modo riconosceva la legittimità del premier tripolino Fayez al Serraj. I cento soldati russi dell’operazione “Dalla Russia con amore” per aiutare la Lombardia nella crisi da coronavirus hanno appena lasciato il nostro paese e la Russia trasforma la sponda della Libia davanti a noi in una zona militarizzata per operazioni contro un governo legittimo.

  

Sono passati meno di due anni dall’incontro del 30 luglio 2018 a Washington tra il premier Giuseppe Conte e il presidente americano Donald Trump, che illuse molti su una possibile svolta a guida italiana in Libia. In quell’occasione Trump disse a Conte che l’America delegava all’Italia tutta la questione, ma poi si comportò come se non avesse mai detto nulla. Oggi la Libia è questa: bombardieri e mercenari russi, mercenari siriani e sudanesi, droni emiratini e droni turchi. E’ come se le decisioni degli altri viaggiassero a un’altra velocità, molto più forte rispetto a noi.

  

I turchi hanno vinto due campagne militari e mezzo negli ultimi otto mesi, dalla Siria alla Libia al Kurdistan

Considerato che l’Amministrazione Trump è disattenta – ma non il Pentagono – l’antagonista solitario della Russia è la Turchia, che ha vinto due guerre e mezzo negli ultimi otto mesi mentre noi eravamo distratti dall’emergenza coronavirus. La cosa può piacerci oppure no e tuttavia dovremmo prendere coscienza in fretta di questo modo di fare la guerra dei turchi, che vede l’uso massiccio di sciami di droni, e di questa loro capacità di ottenere quello che vogliono in modo aggressivo. L’ultima campagna che hanno vinto è proprio quella contro Haftar a Tripoli, dove le milizie dopo avere tentato per tredici mesi di prendere la città adesso come si è detto si stanno ritirando dalle loro posizioni. Tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo la Turchia ha anche vinto lo scontro diretto nel nord della Siria, provincia di Idlib, contro il regime siriano e i russi che – in violazione di un accordo del 2017 – volevano riprendersi tutta la regione e creare una nuova ondata di profughi. E poi c’è il mezzo conflitto vinto, quella campagna di invasione nel Kurdistan siriano cominciata a ottobre 2019 e interrotta poco dopo che però ha consegnato alla Turchia un ottimo risultato dal suo punto di vista: ha interrotto la continuità territoriale dei cantoni curdi e ha cominciato un processo di sostituzione etnica. I curdi dovranno spostarsi più a sud e quella fascia di confine è ora occupata da milizie siriane filoturche. Ma torniamo a Tripoli.

  

I droni turchi hanno fatto a pezzi almeno dieci sistemi d’arma russi Pantsir, che costano tredici milioni di euro l’uno

In Libia prima dell’arrivo degli aerei russi il simbolo dell’appoggio straniero al generale Haftar erano i Pantsir, colossali sistemi di difesa aerea prodotti in Russia. I Pantsir nel paese africano hanno fatto sobbalzare gli esperti militari, ecco che gli sponsor internazionali del generale Haftar fanno sul serio e gli forniscono sistemi d’arma temibili. Il compito dei Pantsir è abbattere velivoli nemici. Sono formati da una piattaforma mobile – un grosso camion militare – un radar per inquadrare i bersagli in volo e una batteria di missili per abbatterli. La Russia li vende agli Emirati arabi uniti e alla Giordania, che a loro volta li passano al generale libico. Ogni unità costa tredici milioni di euro ed è stato uno spettacolo curioso vederli iniettati nella guerra a bassa tecnologia in Libia. Ma nel giro di due settimane i droni turchi hanno trovato e distrutto dieci Pantsir – forse di più. Li hanno fatti esplodere mentre viaggiavano su strada, li hanno scovati in parcheggi coperti, li hanno colpiti anche quando erano già operativi e sistemati come difesa antiaerea. E’ stata una disfatta per il sistema d’arma russo e i video filmati dagli stessi droni turchi sono stati fatti circolare in rete in modo che tutti potessero vederla. I droni hanno smontato e distrutto pezzo per pezzo l’operazione per prendere Tripoli. Il presidente turco Erdogan la lezione data dai russi a tutti nel 2015 l’ha imparata molto bene. E’ possibile ribaltare una guerra applicando in modo spregiudicato un po’ di forza e a condizione di infischiarsene di ogni protesta internazionale.

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