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Se la salsiccia non è di carne, non è salsiccia. La legge francese sui cibi vegetali

Micol Flammini

Il purismo linguistico della République che mette ordine anche nelle mode alimentari

Una salsiccia che non sa di salsiccia non è una salsiccia. E se al palato sfugge quel sapore deciso, energico ed eventualmente pepato che solo la carne conferisce ai piatti che la contengono, allora evidentemente quel che è nel piatto e che, a tutti gli effetti, potrebbe avere le fattezze di una salsiccia, non è una salsiccia e non ha nemmeno il diritto di chiamarsi così. Il consumatore può sentirsi ingannato e nel caso di un consumatore francese alle prese con una saucisse, o meglio con un substitut de saucisse, è anche tutelato dalla legge. Il Parlamento di Parigi ha approvato un emendamento alla legge sull’agricoltura volto a vietare la pratica fuorviante che porta ad associare termini quali bistecca, filetto, pancetta o wurstel – spesso accompagnati dagli aggettivi “vegetariano” o “vegano” – a prodotti che non contengono carne. La norma è stata proposta da Jean Baptiste Moreau, agricoltore, membro dell’Assemblea nazionale ed esponente di En marche!, il partito di Emmanuel Macron, e impone ai produttori di alimenti di origine vegetale di cambiare il nome ai loro prodotti, pena: una multa fino a 300 mila euro. L’obiettivo è quello di tutelare il consumatore.

 

Chiamare bistecca una cosa che bistecca non è è ingannevole, confonde i compratori e ne orienta l’acquisto tramite una dicitura fraudolenta. L’approvazione del provvedimento, come viene specificato nel testo della legge, segue una sentenza della Corte costituzionale europea che nel 2017 aveva vietato l’utilizzo di termini quali latte, yogurt o burro per i cibi di origine vegetale venduti nei supermercati. “Un nome utilizzato per un prodotto lattiero-caseario – dice il provvedimento europeo – Non dovrebbe essere legalmente utilizzato per designare un prodotto vegetale” e, rivendicano i francesi: “Questo emendamento è coerente con questa logica”. Inoltre, si legge sempre nell’emendamento promosso dal macroniano Moreau, una preparazione a base di soia, tofu o seitan, per il produttore è decisamente più conveniente rispetto a una bistecca di carne di manzo, ma al livello di marketing può indurre il consumatore a pensare di star mangiando una vera bistecca. Niente di più fuorviante, anche dal punto di vista nutrizionale.

 

All’indomani dell'approvazione della legge, Jean Baptiste Moreau aveva manifestato tutta la sua soddisfazione in un tweet ricco di hashtag ed emoji: “Adozione del mio emendamento per informare meglio il consumatore riguardo la sua alimentazione! – aveva gioito il politico – E’ importante lottare contro le false affermazioni, i nostri prodotti devono essere designati correttamente. I termini #formaggio o #bistecca saranno riservati soltanto a prodotti di origine animale”. Ma dietro a questa querelle culinaria, se ne nasconde una squisitamente linguistica. I francesi amano la propria lingua, vogliono che sia autentica, specifica e soprattutto puramente francese. Per ogni anglicismo, o quasi, esiste un corrispettivo francofono. La passione dei francesi per le loro parole è draconiana, regolata da una serie di leggi che oltre alla difesa della lingua puntano anche al suo arricchimento e anche questo è un obiettivo dell’emendamento di Moreau. Se i produttori di cibi di origine vegetale non potranno più chiamare i loro alimenti con gli originali a base di carne, saranno costretti a creare neologismi. Niente più goût bacon, merguez vegan o substitut de saucisse, i pubblicitari e i creativi delle aziende che hanno deciso di investire in Francia nel cibo cosiddetto cruelty free dovranno rivoluzionare gli scaffali dei supermercati. Una bistecca, steak, è fatta di carne, il resto è fake. Se al suo interno non c’è carne, ma tofu, allora il produttore dovrà inventarsi un nuovo appellativo, più creativo e più preciso, possibilmente francese e possibilmente in grado di nascondere la verità, sapori insipidi e consistenze gommose.

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