Thomas Lohnes/Getty Images 

Lo spread con la realtà

Sospensione del Patto di Stabilità e acquisti della Bce. L'inflazione cambia tutto, l'illusione è finita

Lorenzo Bini Smaghi

Un mese fa tutti esultavano per la sospensione del Patto di stabilità. Ma il mondo stava cambiando: l’inflazione costringe Francoforte a una politica monetaria restrittiva e l’Italia a ridurre deficit e debito

A fine maggio furono in molti – osservatori ed esponenti politici italiani – ad applaudire la decisione della Commissione europea di prolungare al 2023 la sospensione del Patto di stabilità. Era ampiamente condivisa la tesi che non fosse ancora giunto il momento di reintrodurre vincoli alle finanze pubbliche. E, in ogni caso, appare necessario cambiare drasticamente il Patto, in particolare per renderlo meno rigido, prima di applicarlo nuovamente. 

  
Passato poco più di un mese, quella decisione appare meno lungimirante di quanto sembrava. Forse addirittura sbagliata. Il motivo è che la situazione economica è sostanzialmente cambiata. In particolare, è cambiato drasticamente l’obiettivo delle autorità monetarie, a fronte di un’inflazione superiore al previsto, che ha raggiunto livelli record degli ultimi 30 anni. La Banca centrale europea ha deciso di interrompere la politica di acquisto di titoli di stato dei paesi membri – il cosidetto Quantitative easing – e di avviare una serie di rialzi dei tassi d’interesse. Ciò significa che dalla fine di questo mese il debito pubblico emesso per finanziare il disavanzo dello stato non verrà più acquistato dalla Banca centrale, come è avvenuto nell’ultimo biennio, ma dovrà invece essere collocato presso i risparmiatori, italiani ed esteri. Diventa cruciale il livello del tasso d’interesse al quale tali risparmiatori vorranno investire in titoli italiani. Maggiore è il rischio percepito sulla finanza pubblica italiana, maggiore sarà il tasso d’interesse che lo stato dovrà pagare e maggiore sarà l’onere del debito per i contribuenti, che a sua volta incrementa il disavanzo e il debito pubblico.

 
In altre parole, torna al centro della politica economica del paese la questione della sostenibilità del debito pubblico, come ha peraltro ricordato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, nelle sue Considerazioni finali del 31 maggio scorso. L’esperienza della crisi del 2011-12 ci ricorda come le incertezze sullo stato delle finanze pubbliche di un paese possono generare paure e timori che si autoalimentano, determinando forte instabilità sui mercati finanziari. Tre aspetti vanno pertanto monitorati attentamente.

 
Il primo riguarda l’evoluzione dei tassi d’interesse. Questi dipendono sia dalle condizioni monetarie definite dalla Banca centrale sia dalla valutazione del rischio paese da parte degli investitori. Come avvenne nel 2011, ci si può aspettare che la restrizione monetaria determini movimenti al rialzo su tutte le scadenze, soprattutto per i titoli più rischiosi. Ciò è vero non solo in Europa. Negli Stati Uniti, ad esempio, lo spread tra le obbligazioni con un rating BBB – lo stesso dell’Italia – e i Treasuries è aumentato rapidamente negli ultimi sei mesi. Non è pertanto sorprendente che l’annuncio dell’aumento dei tassi da parte della Bce abbia determinato un rialzo dello spread sui titoli italiani, oltre i 200 punti base. Il problema è piuttosto che il rating BBB del debito italiano non sia migliorato sensibilmente in questi anni. Non ci si può peraltro aspettare una rapida inversione di tendenza dei tassi d’interesse. Al contrario, più persistente sarà la dinamica dell’inflazione, più la Banca centrale dovrà aumentare i tassi  e maggiore sarà l’impatto sull’onere del debito italiano.

 
Il secondo aspetto riguarda le prospettive di crescita dell’economia. Al di là del rallentamento in corso, connesso alle conseguenze del conflitto, l’attenzione degli osservatori si sposta sempre di più sulla capacità dell’Italia di usare il Pnrr per aumentare il ritmo di crescita tendenziale dell’economia. Le difficoltà politiche poste all’adozione delle riforme necessarie per accedere ai finanziamenti europei continuano ad alimentare timori che l’Italia non riesca ad uscire dalla fase di bassa crescita economica registrata nell’ultimo ventennio, che non è sufficiente a sostenere il maggior debito pubblico accumulato durante la pandemia. 

 
Il terzo aspetto riguarda la stabilità politica del paese. Le tensioni all’interno della maggioranza di governo, accentuate dalle continue richieste di scostamenti di bilancio nella prospettiva delle imminenti elezioni, generano preoccupazioni tra gli investitori riguardo alla capacità del paese di assicurare una traiettoria credibile delle finanze pubbliche. Anche in questo caso, torna in mente l’esperienza del 2011 e gli effetti che la conflittualità politica può provocare sulla percezione che gli investitori hanno del rischio-paese.  Certo, la situazione attuale è molto diversa rispetto a quella di undici anni fa. Il sistema finanziario italiano è più robusto e la posizione esterna è caratterizzata da un attivo della bilancia dei pagamenti. L’assetto istituzionale europeo è stato rafforzato in questi anni, in particolare dopo il famoso “whatever it takes” pronunciato nel luglio 2012 da Mario Draghi, allora presidente della Bce, che prefigura la possibilità di acquisti illimitati di titoli di stato, creando una rete di protezione per il mercato del debito pubblico dei paesi membri.  

 
Vi è tuttavia un aspetto fondamentale di cui si deve tener conto per valutare gli scenari economici e finanziari del prossimo futuro.  Ciò riguarda la legittimità della Banca centrale nel condurre una politica monetaria che comporta l’acquisto di titoli di stato di un paese. Tale legittimità non è in discussione quando gli acquisti riguardano i titoli di tutti i paesi dell’Unione monetaria, ad esempio nell’ambito della politica finalizzata alla stabilità dei prezzi. La Corte di giustizia europea l’ha ribadito in varie occasioni, anche in risposta a obiezioni della Corte costituzionale tedesca. Il problema è diverso, tuttavia, quando gli acquisti della Bce riguardano i titoli di un solo paese o un gruppo ristretto di paesi. Tale intervento può essere motivato dall’esigenza di contrastare la cosiddetta frammentazione del mercato, determinata da uno spread eccessivo fra tassi d’interesse, che ostacola la trasmissione della politica monetaria, come ha ribadito la presidente Lagarde in occasione dell’ultima conferenza stampa.  Tuttavia, la legittimità di tale intervento non può essere disgiunta da una valutazione sulla sostenibilità complessiva del debito di quel paese. Un paese potrebbe altrimenti cogliere l’opportunità dell’intervento monetario per aumentare il proprio disavanzo senza misura, il che trasformerebbe la politica monetaria in politica fiscale, in violazione del trattato dell’Unione monetaria. Si creerebbe un azzardo morale che minerebbe la credibilità e l’indipendenza della Banca centrale.

  
Questo è il motivo per cui, sin dal 2010, gli acquisti di titoli di stato della Grecia, del Portogallo e dell’Irlanda da parte della Bce sono stati condizionati ai programmi di risanamento concordati con le istituzioni europee. Nel 2011, gli interventi in acquisto di titoli italiani e spagnoli seguirono lo scambio di lettere di intenti tra la Bce e i governi di entrambi i paesi, con impegni precisi di risanamento delle finanze pubbliche. Infine, le operazioni Omt (Outright monetary transactions), decise nell’estate del 2012, dopo il “whatever it takes”, sono anch’esse condizionate a un programma di aggiustamento concordato con il Mes.

 
Appare difficile, nella situazione attuale, che si possano verificare le condizioni di cui sopra, tali da consentire alla Bce di intervenire in modo significativo per contrastare un eventuale ampliamento degli spread ed evitare la frammentazione. La sospensione del Patto di stabilità accentua tali difficoltà, facendo venir meno i parametri di riferimento al fine di valutare le politiche di bilancio dei paesi membri. In questo contesto, l’indicazione da parte della Bce di poter “definire e mettere in atto strumenti mirati ad assicurare la trasmissione della politica monetaria nel corso di un processo di normalizzazione (dei tassi d’interesse), come dimostrato varie volte in passato” (Lagarde, 23 maggio 2022) rischia di creare incertezze. In effetti, il riferimento all’esperienza passata sottolinea come il ruolo di prestatore di ultima istanza della Banca centrale può essere svolto solo a precise condizioni, in particolare per quel che riguarda le finanze pubbliche. La Bce non ha peraltro fornito ulteriori informazioni sulle caratteristiche che potrebbe avere tale intervento, generando molti dubbi sui mercati finanziari.
Pertanto, un paese che non intende sottoporre le proprie finanze pubbliche alla sorveglianza delle istituzioni europee, deve mirare a ridurre il rischio percepito sui propri titoli di stato principalmente attraverso politiche e comportamenti interni coerenti con i requisiti di sostenibilità del debito pubblico.

Di più su questi argomenti: