Monumento a Franz Kafka, a Praga (foto Pixabay)

Kafka era un no vax

Marco Archetti

Non aveva fiducia nei medici, non voleva farmaci. Dava retta solo a un industriale-mago. Non era così lontano dalle opinioni di Daniela Martini o Hans Kristian Gaarden, medico negazionista del Covid

Venerdì Kafka è venuto a trovarmi e mi ha raccontato meraviglie della città-giardino di Warnsdorf, e di un mago, un naturalista, un ricco industriale, che lo ha visitato, solo il collo, di profilo e di fronte, per poi parlargli di veleni nel midollo spinale e già quasi al cervello. Come terapia raccomanda di dormire con la finestra aperta, fare bagni di sole, giardinaggio, e collaborare a un’associazione per la medicina naturale, sottoscrivendo un abbonamento alla rivista pubblicata da quella stessa associazione, ossia dall’industriale in persona. Si esprime negativamente su medici, farmaci, vaccini”.

 

Amareggia constatare che Franz Kafka, l’uomo che con un pugno di pagine su un insetto ha cambiato la storia della letteratura universale, non fosse così lontano dalle opinioni di Daniela Martani o di Hans Kristian Gaarder, negazionista del Covid morto di Covid lo scorso 5 aprile. Eppure, stando alla testimonianza di Max Brod e a numerose lettere, nessun dubbio: la fiducia di Kafka nei confronti dei medici era nulla, al punto che preferiva, alle loro, le prescrizioni di un ricco industriale che riteneva il giardinaggio una profilassi. In più, Kafka era diffidente verso i farmaci e curava qualsiasi sintomo con bagni d’aria ed esercizi di ginnastica, fervido seguace del metodo Jørgen Peter Müller, atleta danese che nel 1904 pubblicò il libretto Il mio metodo, 400 mila copie vendute. Secondo quanto racconta Questo è Kafka? 99 reperti, librone uscito nel 2016 per Adelphi scritto da Reiner Stach – supremo kafkologo che ha spalancato questo prezioso baule di trovarobato ragionato sulla vita dello scrittore – Kafka si abbonò davvero al Foglio riformista per l’assistenza sanitaria dell’industriale-mago e pensò seriamente di fondare a Praga un’associazione per la medicina naturale.

Se è difficile immaginarlo dietro il bancone dell’erboristeria olistica “Pragaverde”, è certo che nel giugno del 1911 donò due corone al giornale, persuaso della battaglia antivaccinista del ricco industriale. Nel 1915, anno in cui pubblicava La metamorfosi, Kafka non risultava vaccinato nemmeno contro il vaiolo, seppur fosse obbligatorio, e perfino sulle cure per la tubercolosi di cui soffriva aveva idee tutte sue. Per carità, non era il solo. Risalgono al 1885 le prime geremiadi no vax di matrice complottista, denuncianti l’esistenza di una non meglio specificata volontà politica di “limitare la libertà delle persone”. Se non vi suona nuova è perché non lo è. (“Non credo ai medici illustri”, scriveva Kafka nel 1912 a Felice Bauer. “Ai medici credo solo quando dicono di non sapere nulla. Inoltre li odio”.)

Cent’anni fa, il primo aprile 1921, su un quotidiano di Brno, uscì un articolo-pesce firmato da un presunto medico berlinese il quale, basandosi sulla variazione di lunghezza dei corpi in movimento dimostrata da Einstein, sosteneva che, caricati su una nave in rotta verso est, i malati di tubercolosi avrebbero potuto acquisire peso, condizione necessaria per la guarigione. Un medico di Monaco aveva risposto e ne era nata una controversia su quale fosse la rotta più salutare. Si scrisse che a Praga era già stata fondata una compagnia di navigazione che avrebbe varato le navi-sanatorio. In quel periodo, in cura a Matliary, Kafka era afflitto per la propria salute tanto da scrivere alla sorella Ottla: “Per due ore ci ho creduto”. E le propose di fare uno scherzo al marito, chiedendogli di informarsi sugli orari delle navi-sanatorio. Alla bufala credette non solo lui, ma tutta la famiglia. “Ho paura che vi stiate prendendo gioco di me”, le scriveva Kafka, desolato.

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