Donald Trump (foto LaPresse)

Trump e il terrorismo

Politicizzare e scaricare le colpe. Il fragile protocollo della gestione presidenziale degli attacchi

New York. L’attentato di Manhattan ha fatto emergere con chiarezza il protocollo della gestione del terrorismo a cui Donald Trump si attiene. Dopo un primo, breve momento di cordoglio, il presidente politicizza al massimo la questione, presenta soluzioni ipersemplificate per fermare la carneficina e scarica la colpa dell’accaduto sugli avversari, colpevoli di aver permesso la tragedia. Il tutto deve essere rigorosamente eseguito in modo rapido, confuso e contraddittorio. Poco dopo l’attacco Trump ha iniziato a fare leva sull’accaduto per promuovere le sue posizioni dure sull’immigrazione, ha ordinato l’inasprimento del programma di extreme vetting degli stranieri che entrano negli Stati Uniti, ha detto che vuole un sistema di ingresso “basato sul merito” e si è scagliato contro la lotteria che ogni anno assegna green card agli stranieri che ne fanno richiesta, secondo un sistema di quote creato per preservare la diversity della popolazione americana. Chuck Schumer, capo dei senatori democratici, è diventato l’idolo polemico di questa fase, in quanto presunto padre della lotteria che Trump ha chiesto al Congresso di abolire immediatamente. Si tratta di un metodo già collaudato. Dopo la strage di Orlando, nel giugno 2016, l’allora candidato ha diviso la colpa fra il presidente Obama (“he failed us badly”) e l’avversaria Hillary Clinton che faceva il tifo per l’apertura dei confini. I raid militari finiti male sono colpa “dei generali”, la revoca dell’Obamacare non è andata in porto per la slealtà del Congresso.

 

 

Ci sono diversi punti in cui la rappresentazione costruita da Trump dopo l’attacco non tiene. Innanzitutto, Sayfullo Saipov, l’uzbeko 29enne autore della strage, si è dovuto sottoporre ai normali controlli di sicurezza, quando, nel 2010, si è trasferito negli Stati Uniti dopo aver vinto la green card.

 

Essere sorteggiati alla lotteria non significa ottenere un lasciapassare per gli Stati Uniti: chi entra nel paese viene sottoposto alle normali procedure di controllo, e al passaggio di queste è subordinata l’assegnazione dello status di residente permanente. Ai giornalisti Trump ha detto che il programma “sembra bello, ma non lo è”, suggerendo una connessione diretta fra la lotteria e la radicalizzazione islamista di un uzbeko che è entrato nell’ecosistema dell’estremismo quando era già negli Stati Uniti.

 

In linea con la posizione dei democratici, e di molti repubblicani, Schumer è favorevole alla lotteria, ma non è stato certo lui a inventarla. E’ stata un’idea promossa da Ronald Reagan e portata avanti dal Congresso con l’Immigration act del 1990, firmato da George H.W. Bush. Il politicamente corretto è la formula magica che pronuncia per suggerire ai suoi che c’è un inganno da smascherare, una verità nascosta dai guardiani del pensiero. Anche nell’affrontare un attentato terroristico, il primo portato a compimento a New York dopo l’11 settembre 2001, Trump non può non riportare la conversazione pubblica sui talking points con cui eccita la sua base, ora via Twitter, ora nello studio amico di Laura Ingraham, nuova eroina di Fox News che ha rifatto il trucco trumpiano alla corazzata di Rupert Murdoch. “L’immigrazione a catena deve finire oggi! Alcune persone vengono qui e portano tutte le loro famiglie, che possono essere davvero cattive. Non è accettabile!”, ha scritto, anche se il caso di Saipov non ha molto a che vedere con l’immigrazione di massa. Ancora meno ha a che fare con il medio oriente, subito citato da Trump in uno dei primi tweet. Come la maggior parte dei foreign fighters dello Stato islamico, l’attentatore veniva dalle ex repubbliche sovietiche, non dal medio oriente, e per quanto il presidente insista sulle procedure di controllo e le leggi severe sull’immigrazione, l’Uzbekistan non compare nemmeno nella lista dei paesi a rischio del suo travel ban. La politicizzazione del caso è finita con la discussione sulla pena da comminare a Saipov. Prima ha parlato di un trasferimento a Guantanamo – faccenda delicata che richiederebbe un esame legale attento del caso – poi ha invocato la pena di morte, e infine ha decretato che un trasferimento nel carcere speciale “richiederebbe più tempo del sistema federale”.

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