Sant'Anna di Stazzema, Tillerson al memoriale del massacro (foto LaPresse)

Tillerson va a Mosca per trasformare l'attacco di Trump in una leva diplomatica vantaggiosa

Con una mano la Casa Bianca alimenta l’escalation retorica con Putin, con l’altra tratta su una Siria senza Assad. I vari registri televisivi dell’Amministrazione

New York. Le apparizioni dei più autorevoli membri dell’Amministrazione Trump nei talk show domenicali hanno deluso chi si aspettava segnali chiari su senso, ampiezza e prospettive dopo l’attacco punitivo con i missili Tomahawk alla base siriana. L’ambasciatrice americana all’Onu, l’agguerrita Nikki Haley che sembra muoversi in continuità con Samantha Power, eroina frustrata dell’interventismo umanitario nell’era Obama, alla Cnn ha pronunciato la fatidica formula “regime change”, che è “qualcosa che dovrà succedere perché tutte le parti coinvolte vedranno che Assad non è il leader che deve governare la Siria”. Nel frattempo il segretario di stato, Rex Tillerson, alla Cbs ridimensionava la portata politica dell’attacco, reiterando lo scopo della missione in Siria: “La nostra priorità non è cambiata. Penso che il presidente sia stato abbastanza chiaro. Prima di tutto dobbiamo sconfiggere lo Stato islamico”.

La discrepanza non deve stupire. Due correnti si stanno scontrando all’interno dell’Amministrazione, e Trump non impedisce, anzi talvolta incoraggia, la calcolata esibizione dei dissensi interni in diretta televisiva, seguendo il format dei reality show. Offre un’immagine dinamica, non dogmatica, dei processi decisionali e lancia utili balon d’essai, e al momento il presidente americano preferisce l’ambiguità sulla lettura della limitata iniziativa militare. E’ una piccola operazione di polizia internazionale oppure il primo passo di un processo che si risolve con la cacciata di Assad? La Casa Bianca lascia spazio alle interpretazioni. Dove invece lo spazio interpretativo si assottiglia è sul rapporto con la Russia, che è legato a doppia mandata alla situazione in Siria, ma non si esaurisce in quello scenario. Oggi Tillerson è a Mosca per incontrare il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, e la visita è stata preparata con un’escalation retorica contro il governo di Putin che è “incapace oppure complice” nello smaltimento delle armi chimiche siriane. La terza alternativa, ha detto Tillerson prima di partire verso l’Europa, è che Assad abbia “fregato” i russi. E’ forse questa la versione più infamante per il Cremlino.

La linea promossa da Tillerson risponde all’esigenza di Trump (e dello stesso segretario di stato) di smantellare l’immagine della marionetta nelle mani di Putin, trafficante in capo nella democrazia americana con il suo esercito di spie, complici, hacker e troll. Dopo la controretorica sulle linee rosse violate dall’America, le minacce di rappresaglie militari, la sospensione dei memorandum per evitare scontri sul campo e gli spostamenti di truppe, ieri il portavoce di Putin ha ribadito che la destituzione di Assad non è sul tavolo: “L’unica opzione è quella di continuare il lavoro molto duro nel quadro dei processi di Ginevra e Astana”, ha detto, citando i processi che hanno mostrato il volto tragico del loro fallimento con l’attacco chimico nella provincia di Idlib. La missione di Tillerson, che stando alle ultime informazioni non sarà ricevuto da Putin, è delicatissima, ma c’è chi a Washington è convinto che la crescente aggressività retorica sia un gioco delle parti fra attori pragmatici, intenzionati infine a trovare una soluzione condivisa per una Siria post Assad. Poche ore prima che i missili si levassero dalle navi nel Mediterraneo, il Cremlino ha detto che “in questo mondo non ci sono alleanze incondizionate” e in questi anni il governo di Mosca non ha nascosto, in diverse occasioni, il suo disappunto per Assad, protetto che non sempre risponde ai comandi. “L’influenza di Putin su Assad è paragonabile a quella che Obama esercitava su Netanyahu, cioè molto poca”, dice al Foglio Brian Katulis, analista del Center for American Progress, think tank democratico. Per questo, spiega Katulis, “non è implausibile immaginare una trattativa fra il Cremlino e la Casa Bianca che va nell’ordine di una transizione”. Gli incontri di questa settimana diranno se le manovre in Siria hanno dato a Washington una leva vantaggiosa per trattare con Mosca.