La USS Carl Vinson

Trump sta davvero preparando la guerra alla Corea del nord?

Giulia Pompili

Il candidato alla presidenza di Seul, Moon, accusa Cina e America di giocare con l'esistenza stessa della Corea del sud

Roma. C’è il comandante Harry Harris, secondo fonti del Pentagono, dietro il dirottamento della nave da guerra USS Carl Vinson nelle acque intorno alla penisola coreana. La portaerei – una delle navi da guerra più grandi della flotta americana, la stessa che trasportò la salma di Osama bin Laden – è un ulteriore passo verso la militarizzazione della penisola coreana, e il suo posizionamento davanti alla Corea del nord ha dato l’allarme sulle possibili conseguenze di un’escalation di tensioni. Del resto sin dalla sua nomina due anni fa a capo del Us Pacific command, il comando unificato responsabile delle Forze armate nel Pacifico, l’ammiraglio Harris, che è un americano di origini giapponesi, ha tentato la via della militarizzazione per difendere gli interessi americani nell’area: non è un caso se le Foal Eagle, le esercitazioni militari annuali tra Corea del sud e Stati Uniti, negli ultimi due anni, siano state le più grandi di sempre. Il movimento navale è stato deciso poche ore dopo il bombardamento siriano – attacco che Pyongyang ha ufficialmente condannato domenica scorsa.

 

Di per sé la notizia non è inedita (la Uss Carl Vinson ha già partecipato alle Foal Eagle) ma è mediatica: “Il presidente ci ha chiesto di preparare l’intera gamma di opzioni per rimuovere la minaccia nei confronti degli americani e degli alleati americani nell’area”, ha detto l’altro lunedì a Fox il consigliere alla Sicurezza Herbert R. McMaster , e perfino il segretario di stato Rex Tillerson ha commentato la notizia dicendo che “l’America non è interessata a un regime change” in Corea del nord, ma che l’unica condizione per far ripartire il dialogo tra Pyongyang e Washington è lo smantellamento dell’arsenale nucleare (una richiesta già più volte rifiutata dagli emissari di Kim Jong-un). Un messaggio alla Cina, più che una dichiarazione di guerra. Ma lo stallo diplomatico e il relativo show di forza, i movimenti fotografati dai satelliti nelle aree delle basi nucleari nordcoreane, e il prossimo mese pieno di importanti anniversari per la Corea del nord, sono tre elementi che, uniti insieme, rischiano di provocare incidenti dalle conseguenze imprevedibili.

 

In tutto questo, però, il paese più esposto alle minacce nordcoreane resta il sud della penisola, che dopo mesi di caos politico è in piena campagna elettorale, e non avrà un governo fino al 10 maggio prossimo. Tutte le “opzioni” di cui si parla a Washington, in pratica, sono valutate senza quasi ascoltare la controparte di Seul, che rischia di più (il numero di missili a corto raggio in dotazione alle Forze armate nordcoreane, infatti, è ancora impossibile da stabilire, così come l’arsenale di armi chimiche e batteriologiche). In un’intervista al Korea Herald lunedì, il candidato del Partito democratico sudcoreano Moon Jae-in ha criticato l’atteggiamento delle due potenze dell’area del Pacifico, America e Cina, che rischia di ridurre la Corea del sud a “spettatrice”, mentre la minaccia riguarda la sua stessa esistenza: “Dobbiamo riconoscere Kim Jong-un come leader, e se vogliamo risolvere la questione nucleare dobbiamo negoziare con lui”. E c’è tutta una narrazione che si sta diffondendo in Corea del sud, infatti, tra chi – come lunedì il Chosun ilbo – parla di una “corsa alle scorte alimentari” come durante la guerra degli anni Cinquanta, e chi come Andrew Salmon sul Korea Times, cerca di minimizzare: nonostante alcune compagnie straniere stiano organizzando piani d’emergenza per rimpatriare i connazionali di stanza in Corea del sud, in caso di un “first strike” dell’America, scrive Salmon, la Corea del nord avrebbe solo poche ore per la sua rappresaglia, e poi subirebbe un’invasione. Moon, che continua a guadagnare consensi, ha già detto più volte che il suo primo viaggio di stato sarà a Pyongyang: “Il problema della penisola coreana è un nostro problema, e noi siamo direttamente coinvolti nella questione nucleare nordcoreana. Penso che dovremmo prendere la guida dei colloqui”, ha detto Moon.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.