Terry Crews (foto LaPresse)

Il caso Weinstein e il giornalismo buono solo a confermare quello che già sappiamo

Antonio Gurrado

Anche Terry Crews si unisce alle accuse per abusi sessuali. Solo che è un uomo, e allora non fa notizia

Un’altra vittima del divano del produttore rompe il silenzio e il cerchio si allarga sempre più. In questi giorni di reminiscenze, Terry Crews non accusa Harvey Weinstein bensì un innominato alto papavero di Hollywood, ripescando una vecchia storia che è poi sempre la stessa: una mano fra le cosce, un sorriso ammiccante, la velata promessa di carriera, l’esplicita minaccia di denuncia vessatoria in caso di reazione violenta o sconsiderata; infine, il peso di un segreto pluriennale per timore dell’ostracismo dal dorato mondo dello showbiz. È la solita questione del maschio predatore che approfitta del proprio ruolo di dominio di fronte ad attricette inesperte, psicologicamente fragili, fisicamente indifese e confinate in secoli di subalternità di genere? Più o meno.

  

Perché in realtà Terry Crews è maschio, un pezzo d’uomo alto quasi due metri che pesa più di cento chili, pronto a tutto dopo una vita da giocatore professionista di football americano prima di lanciarsi sul grande schermo. Sarebbe una notizia ma ha più vasta eco il diafano rimorso di Ben Affleck per avere toccato il culo di una collega quattordici anni fa. Quando si parla di rapporti fra i generi il pubblico non vuole essere spiazzato ma rafforzato nell’idée reçue; pertanto il ruolo del giornalismo diventa ancillare e subordinato alla conferma di ciò che già tutti conoscono. Far finta di scoprire i risaputi rapporti di forza fra produttori e attrici ha scandalizzato tutti; il tormento di Terry Crews ha lasciato indifferenti; quando emergerà la storia di una qualche produttrice rugosa e mantecata che si sia portata a letto un attor giovine, non se ne accorgerà nessuno.

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