(foto Ansa)

toccando ferro

Da Jada Pinket a Fedez. Instagram è storia di malattie, ma la morte non è ammessa

Ginevra Leganza

Lo star-system oramai è un grande nosocomio. Non sarà mica in parte anche colpa del pubblico, che cerca cristi dolenti anziché trionfanti?

Provate a digitare hashtag morte e lo schermo dirà: “Possiamo aiutarti? I post con parole che cerchi spesso incoraggiano comportamenti che possono causare dolore o condurre anche alla morte […] Ricevi assistenza”. La Grande Madre algoritmica del social network vi distoglie dal proposito di farla finita. Tornati in home, seguite vari portali di informazione e vi imbattete in un paradosso. Instagram, il social degli under 35, ultimamente si è trasformato in un ospizio. Sono in tanti i vip testimonial d’infermità. In pratica Adam Mosseri, Ceo della piattaforma, dice sì agli acciacchi e no al decesso. 

La domanda è: perché alla composizione dell’hashtag “morte” il social si allarma e, nel frattempo, è tutto un lazzaretto? Si sventa la morte con un numero verde. La policy muove guerra al dolore. Ma intanto, parafrasando Joseph De Maistre, l’uomo è tutta una malattia. l’Insta-uomo, è il caso di dire, è tutto un malanno. Il social si prende cura dei suoi bambini e questi, regrediti a uno stadio infantile, postano cicatrici di delicati interventi. Come fossero trofei. Come quando a sei anni si menava gran vanto del sangue alle ginocchia e del mercurio cromo. Stigmi di una vita spericolata, tracce di un’infanzia felice. Ma i vip in questione hanno pure un’età. E però resta lo sfoggio delle cicatrici cui si aggiungono compianti e lamenti. 

Lo star-system è un grande nosocomio. L’alopecia della signora Smith, la malattia di Fedez, quella di Chris Evert… La tennista aggiorna i follower tramite clip. Cappellino ed esibizione di un braccio bucato dall’ago, pieno di lividi. Chris racconta degli steroidi e dell’anti-nausea nella flebo. Da qualche tempo, poi, crea engagement la malattia di Giorgia Soleri, la modella legata al frontman dei Maneskin. Soleri soffre di dolori concomitanti coi muliebri tempi lunari. Fastidi, dice, che colpiscono “1 persona assegnata femmina alla nascita su 10”. E qui si capisce che le malattie sono tante. Endometriosi, adenomiosi, vulvodinia. Certo. Ma anche genderismo terminale. “Persona assegnata femmina alla nascita”. Notevole. 

Tramonta l’era dei social-virologi e viene il tempo dell’ospedale intercontinentale e interconnesso, dove tutti sono moribondi senza che nessuno possa morire. Forse aveva ragione il poeta, Thomas Eliot. Il mondo finirà nei lamenti, non negli schianti. E a parte l’assenza di pudore – malattia che c’è ma non si vede, un po’ come l’endometriosi – a parte il narcisismo al ribasso di chi mostra il peggio di sé perché di meglio non ha, a parte tutto, c’è un fatto abbastanza chiaro. Un fatto di continuità con l’epoca che volge al termine. E’ precisamente quell’andrà tutto bene da commedia babbea. Perché in fondo la malattia si porta dietro la giusta speranza che tutto vada per il meglio. Quello che il social non vuole – pur nella paradossale esibizione di ogni cosa – è la cruda, semplice, elegante realtà. La natura delle cose, per cui tutto muore. E fintanto che si vive sarebbe bello, in pubblica piazza, diffondere vita anziché pena. 

A proposito di bellezza ed eleganza, non è passato un secolo dall’uscita di scena di Raffaella Carrà. E neppure troppo da quella di Gigi Proietti. Sono andati via senza che sospettassimo malori. Forse perché il primo comandamento dell’artista è the show must go on, qualunque cosa accada. E forse perché il pubblico va allietato sempre. Ma in fin dei conti il punto è proprio questo. Non sarà il pubblico a cercare cristi dolenti anziché trionfanti? I vip, oggi, altro non sono che i somiglianti di chi li insegue: zombi indolenziti poco avvezzi al gusto. E questo Instagram lo sa.

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