I danni collaterali della sovraesposizione mediatica (e non) degli esperti
Abbiamo assistito a liti social tra virologi, frecciatine via stampa tra immunologi, prese di distanza tra epidemiologi nei talk. "Abituati a scrivere su riviste specializzate, sono stati catapultati su mezzi mai frequentati", dice Aldo Grasso
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Roma. E’ difficile trovare una categoria in cui catalogare molte uscite che diversi esperti del coronavirus (virologi, immunologi, infettivologi, medici in generale) hanno fatto in questi due mesi di emergenza. Trattati come oracoli infallibili fin dall’inizio, hanno coperto più o meno tutto il ventaglio di possibilità sugli effetti del virus, dal banale raffreddore all’apocalisse. Senza arrivare alle “certezze inconfutabili” che qualche giorno fa il ministro Boccia chiedeva alla comunità scientifica senza le quali la politica non avrebbe potuto decidere, tutti noi ci siamo abbeverati a tweet, interviste e ospitate in tv degli esperti certi che la loro parola sarebbe stata quella definitiva. Così non è stato, anzi, con il passare dei giorni abbiamo assistito a liti social tra virologi, frecciatine via stampa tra immunologi, prese di distanza tra epidemiologi nei talk-show. Per uno che parlava di picco dei contagi ce n’era sempre almeno un altro che diceva di no, “la salita è ancora lunga”, per un esperto che consigliava le mascherine eccone un altro ribadire la loro inutilità, a un professore possibilista sulle riaperture delle attività commerciali faceva eco un ricercatore che invitava a tenere tutto chiuso fino a fine anno. “Questi esperti fanno parte di una categoria ignorata da tutti prima dell’emergenza – dice al Foglio il critico televisivo del Corriere della Sera Aldo Grasso – Si sono trovati improvvisamente sulla scena pubblica con responsabilità enormi, molti sono stati fagocitati dal medium: abituati a parlare scrivendo su riviste specializzate, sono stati catapultati dal loro ruolo su mezzi mai frequentati. In molti casi ci siamo accorti che anche gli esperti sono come tutti gli altri: hanno iniziato a parlare come si parla nei talk-show e nel salotto di Barbara D’Urso”. Prima della pandemia si conosceva solo Roberto Burioni, oggi ciascuno ha il suo virologo del cuore per cui fa il tifo sui social. “Ognuno vuole il suo spazio – continua Grasso – quindi sono portati a dare opinioni diverse, a litigare pubblicamente”.
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- Piero Vietti
Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.