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Il giornalismo che parte dalla realtà e finisce nell’apologia della mescolanza

Raccontare i fatti, fra un opposto e l’altro

Alfonso Berardinelli

C'è un nuovo Eros politico che unisce gli avversari di ogni categoria, mentre sullo sfondo il grande Shiva continua a muovere i fili fra creazione e distruzione. Come Perseverance su Marte e noi minacciati da un virus invisibile

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Letterariamente parlando, il giornalismo scritto è un genere letterario ibrido e misto, naturalmente, necessariamente enciclopedico. Oscilla fra riso e pianto, serietà e frivolezza, moralismo e pettegolezzo, commedie e tragedie: proprio come il teatro e il romanzo moderni da Shakespeare a Beckett, da Cervantes a Kafka. Questo i critici e i teorici della letteratura non lo sanno o spesso lo dimenticano, nascondendo a se stessi che fra periodici e quotidiani sono stati molti gli scrittori, narratori e perfino poeti, storici e perfino filosofi che hanno praticato il giornalismo e se ne sono serviti sia come tramite editoriale sia come fonte di ispirazione. Insomma: si parte dalla realtà, di cui si ha fame e si deve dare notizia, e si arriva senza neppure volerlo all’apologia della mescolanza, compresenza, pluralità e alternanza fra un opposto e l’altro.

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Letterariamente parlando, il giornalismo scritto è un genere letterario ibrido e misto, naturalmente, necessariamente enciclopedico. Oscilla fra riso e pianto, serietà e frivolezza, moralismo e pettegolezzo, commedie e tragedie: proprio come il teatro e il romanzo moderni da Shakespeare a Beckett, da Cervantes a Kafka. Questo i critici e i teorici della letteratura non lo sanno o spesso lo dimenticano, nascondendo a se stessi che fra periodici e quotidiani sono stati molti gli scrittori, narratori e perfino poeti, storici e perfino filosofi che hanno praticato il giornalismo e se ne sono serviti sia come tramite editoriale sia come fonte di ispirazione. Insomma: si parte dalla realtà, di cui si ha fame e si deve dare notizia, e si arriva senza neppure volerlo all’apologia della mescolanza, compresenza, pluralità e alternanza fra un opposto e l’altro.

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Primo esempio. Siamo scesi su Marte proprio ora che la Terra, la sua salute, le sue malattie e il suo destino futuro ci preoccupano più che mai e ci impongono i ministeri della “Transizione ecologica”. Una volta il mondo, nel senso di nostro pianeta, era grande, mentre noi, nel senso di genere umano, eravamo piccoli e sperduti. Ora noi siamo in molti, forse troppi, mentre lo spazio terrestre sembra piccolo, vulnerabile, esausto e non ce la fa a sfamare miliardi di umani, fra cui veri affamati privi di risorse e altri, invece, viziati e bulimici, compulsivamente dediti a divorare risorse. Come nota Crippa nell’ultimo numero del fine settimana, si esplora l’universo remoto per conoscere meglio noi stessi, quello che siamo stati e siamo. Apprendo dal suo articolo che “il lander israeliano Genesi partì per la Luna con dati digitali che contenevano l’intera Bibbia e un memoriale dei sopravvissuti della Shoah”. Ora, andare a caccia di un virus invisibile che ci entra in corpo e minaccia la nostra vita non ci impedisce, contemporaneamente, di percorrere in pochi mesi con il rover Perseverance 470 milioni di chilometri per cercare sul pianeta rosso eventuali tracce di forme viventi magari estinte da migliaia di anni.

 

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Vita da difendere in noi, vita da scoprire a distanze enormi da noi. La circonferenza del vivente è tale da dare le vertigini. Ma i nostri poveri e limitati cervelli sognano solo una nuova meravigliosa normalità di cinema pieni e di piazze affollate, nonché di corpi nudi che si strofinano senza ansie l’uno sull’altro in obbedienza al dio Eros; mentre sullo sfondo si potrebbe anche vedere un’altra irriducibile divinità, il grande Shiva, che sfrenatamente e armoniosamente danza fra creazione e distruzione (sull’ultimo Domenicale del Sole24Ore compare la bella foto di una sua statuetta). Già, gli opposti. Vengo a sapere da un articolo di Luca Roberto che grazie all’avvento di Draghi il ministro del Pd Orlando (Lavoro) e quello della Lega Giorgetti (Sviluppo economico) si sono mossi in “positiva convergenza” secondo gli ordini di un nuovo Eros politico che unisce gli avversari.

 

A proposito di Ilva, i due sembrano d’accordo nel sostenere che “la produzione dell’acciaio rimane fondamentale ed è ancora considerata strategica per il nostro paese”. Mentre Cerasa apre il suo pezzo evocando due famosi e tradizionali opposti con questo interrogativo: “Restaurazione o rivoluzione?”. Si tratta, dice, del “tema importante sul quale si misurerà parte del successo del governo Draghi”: rendere efficiente e tempestiva la capacità di attuazione della nostra malfamata burocrazia. In questo caso, restaurare e rivoluzionare rispetto alle lentezze elefantiache del passato sarà una sola e medesima cosa. E’ così che un’altra coppia di opposti strettamente politici, quella di destra e sinistra, viene al momento messa fuori gioco. Incontrarsi, compromettersi, autocorreggersi, cambiare. Le guerre di religione di qualunque tipo vanno almeno sospese e forse, gradualmente, abolite. Oggi la coincidenza fra rimedi tecnici e rimedi politici diventa più frequente e praticabile che in passato.

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Sul Sole24Ore di domenica Armando Torno ha però parlato anche di un libro sul dialogo interreligioso, nella speranza di un futuro senza fanatismi e intolleranze; e Sebastiano Maffettone, sullo stesso giornale, ha commemorato il suo maestro John Rawls a cento anni dalla nascita, definendolo uno dei più importanti filosofi del secondo Novecento. In una nazione come gli Stati Uniti, nella quale l’efficienza è sempre stata una religione, per un politologo liberal e protestante come Rawls è invece la giustizia, l’equità sociale che deve avere il primato. L’emancipazione dei più sfortunati e la tolleranza nei confronti dei diversi erano, secondo Rawls, la missione politica della sua America (il suo idealismo considerava però inesistente l’altro polo, l’America di Trump).

 

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Sarei tentato di continuare, ma preferisco chiudere con una quisquilia letteraria e personale, usando una pubblicità di Repubblica. Un paio di anni fa mi fu offerto di prendermi, su Repubblica, la piena e totale responsabilità per tutto ciò che avrebbe riguardato la poesia e i poeti. Ci pensai un attimo, ma ebbi subito l’istinto di rifiutare. Ora ho la certezza che quello di allora fu un buon istinto. Leggo infatti su due intere e trionfalistiche pagine a colori questa pubblicità: “Ogni weekend Repubblica ti regala la grande poesia selezionata con cura da Repubblica insieme al poeta Maurizio Cucchi. Da Ungaretti a Baudelaire a Merini, da Rimbaud a Cavafis a Magrelli”. Ognuno può vedere che secondo Repubblica e Cucchi la grande poesia nasce grande, ma perversamente viene costretta a finire molto piccola, minuscola o nulla. E’ per me un vero sollievo non dover partecipare a una festa poetica così desolante.

 

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