Enrico Letta (Ansa)  

Verso il congresso

“Sciogliere il Pd”. Dramma, psicodramma e vantaggi altrui

Sparare sul partito. Numeri, percezione e autopercezione

Marianna Rizzini

Rosy Bindi dice apertamente che il partito non ha più senso, un'idea che condividono in molti nell'area intelletuale di riferimento. Ma con tutto questo picconare, non si rischia di consegnare un partito come quello dem che ha comunque il 19 per cento alle brame di uno, il M5s, che ha totalizzato il 15?

Elaborare il lutto, ricominciare, cambiare vita: il Pd sta attraversando l’intera gamma delle emozioni negative legate al responso delle urne. Chi siamo, dove andiamo? ci si domanda al Nazareno e anche nell’area intellettuale di riferimento. Giriamo, andiamo e vediamo gente, è l’esortazione pre-congressuale prevalente (variante: “Mettiamoci in ascolto”), tesa a colmare la distanza con l’elettorato in fuga. E però c’è anche chi consiglia la cura choc, il salto nel vuoto, la catarsi, l’abbattimento con resurrezione.

Al punto che ieri, sulla Stampa, l’ex ministro ed ex presidente Pd Rosy Bindi parlava di “scioglimento dell’esistente”, cioè del Pd, come di una strada auspicabile, in vista della costruzione di un “campo progressista”, al grido di “la ritualità del congresso è ormai accanimento terapeutico”. E spiegava, Bindi, perché si è fatta co-promotrice di un appello con cui, oltre a lei, altre personalità del mondo della cultura, del giornalismo e della politica, interne ed esterne al Pd, provenienti dal mondo cattolico e non, vicine e non vicine al M5s, da Gad Lerner a Vannino Chiti a Domenico De Masi a Tomaso Montanari, chiedono di aprire con urgenza un nuovo cantiere, per “un confronto aperto tra tutte le forze di sinistra del paese”.  
 

Intanto il Fatto lanciava in anteprima il medesimo appello “per un campo plurale”: “La sonora sconfitta delle forze democratiche ci accomuna tutti, compreso chi fosse tentato di consolarsi con il buon risultato della propria lista”, si leggeva, e l’accento era sui destinatari: “Cari Pd e Cinque Stelle”. Sul Domani, invece, non c’era soltanto la prima pagina, con titolo inequivocabile (“chiudere il Pd per salvare la sinistra”). C’era anche l’editoriale del direttore Stefano Feltri, altrettanto inequivocabile: bisogna, per Feltri, “dichiarare l’esperimento fallito e lasciare che altri soggetti riempiano quello spazio. Non si tratta di cambiare segretario, nome o facce, ma di archiviare un progetto politico”. Non è colpa di Enrico Letta, scriveva il direttore del Domani, cui anche l’ipotesi del partito-movimento con Elly Schlein pare “bruciata e decotta”. Il Pd, questo il j’accuse, “poteva essere un grande aggregatore…invece è stato soltanto la spartizione di potere sempre più piccolo tra due oligarchie, gli ex Ds e l’ex Margherita…”. All’interno del giornale, il dàgli al Pd assumeva la forma dello scritto di Nadia Urbinati. La politologa insisteva sul concetto: “Com’è ora, questo Pd non serve a nessuno, neppure ai suoi leader”.

 

E insomma, hai voglia per Letta scrivere, come ieri, una lettera agli iscritti e alle iscritte sul congresso costituente del “nuovo Pd”: “Apertura, opposizione, nuova vita”. Sulle chat e sui piccoli schermi il concetto dell’accanimento terapeutico prendeva piede. Ma perché ora e non prima, lo psicodramma dell’auto-demolizione? “Stavolta è più grave”, dice un deputato Pd (rieletto). Non ci fossero i numeri, un marziano potrebbe pensare a uno spostamento di voti così massiccio o a una perdita così invalidante da non poter fare altro che abbassare la saracinesca. Ma, ragionando sulle cifre rese note dal Viminale, con l’aiuto della ricercatrice Alessandra Ghisleri (Euromedia research), ci si domanda se l’idea dello scioglimento non sia un po’ troppo tranchant, specie visto l’incombere dei Cinque Stelle che, nonostante il calo drastico dal 2018, si raccontano attraverso lenti rosa: il Pd alle Politiche del 2018 ha raggiunto il 18,76 per cento dei consensi; alle Europee del 2019 il 22,69, alle Politiche di domenica scorsa il 19,7, con una perdita di circa 800 mila voti. I Cinque stelle dal 2018 appaiono dimezzati. E va bene che avevano temuto perdite maggiori. Ma l’autopercezione è diversa, e diversamente viene presentata. E insomma: con tutto questo picconare il Pd, non si rischia di consegnare un partito che ha comunque il 19 per cento alle brame di uno che ha totalizzato il 15?
 

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.