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addio all’agenda tafazzi

Una campagna elettorale né catastrofista né autolesionista forse è possibile

Claudio Cerasa

Dividersi sui diritti senza scannarsi sui doveri evitando di descrivere un paese alla deriva. Sorpresa. Un fatto nuovo e una guida per orientarsi

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Nella campagna elettorale in corso, c’è un’agenda forse più interessante rispetto a quella firmata da Mario Draghi che meriterebbe di essere messa con urgenza sotto i riflettori. L’agenda in questione non ha a che fare con l’ambiziosa lista di progetti lasciati incompiuti dalla maggioranza di governo ma ha a che fare con una lista del tutto diversa che fa capolino in ogni campagna elettorale: l’agenda Tafazzi. Come direbbe Paolo Villaggio, in uno dei suoi Fantozzi, dicesi agenda Tafazzi: una tremenda, inesorabile e ineluttabile attitudine delle forze politiche a descrivere l’Italia come un cumulo di orrori, di macerie, di disgrazie e di emergenze, con l’unico obiettivo di scaricare sugli avversari politici le colpe dei disastri presunti.

 

Lo schema del partito che si presenta come l’unico pompiere in grado di spegnere le fiamme appiccate dagli avversari è uno schema che tutti i partiti tendono a utilizzare non appena si avvicina l’appuntamento con le urne. Ma la caratteristica forse unica di questa campagna è che nessuno dei partiti in campo può permettersi di accusare l’altro di aver messo l’Italia in mutande. Non lo può fare il M5s, che ha governato ininterrottamente dal 2018 al 2022. Non lo può fare il Pd, che non solo ha governato l’Italia negli ultimi tre anni ma che salvo una parentesi di un anno (2018-2019) governa ininterrottamente dal 2011. Non lo può fare la Lega, che ha governato per tre anni degli ultimi quattro anni e mezzo. Lo potrebbe fare in teoria Giorgia Meloni, che è vero che è l’unico partito a non aver governato in questa legislatura, ma è anche vero che alle elezioni si presenta con due partiti che sono stati al governo negli ultimi due anni e descrivere un’Italia oggi dominata dalle macerie sarebbe come dire che gli alleati con cui Meloni promette di governare il paese sono quelli che hanno portato l’Italia sul lastrico.

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Gli shakeramenti di governo imposti dalla legislatura appena conclusa, uniti alla circostanza per nulla irrilevante della presenza di un Piano nazionale di ripresa e resilienza valido dal 2021 al 2027 che nessuno dei grandi partiti si è sentito di bocciare in Parlamento, potrebbero dunque spingere i leader ad affrontare la campagna con un tono diverso dal passato: concentrarsi sulle singole emergenze da risolvere senza dover offrire agli elettori l’immagine di un paese alla deriva, disastrato e in emergenza perenne.

 

E’ scarica dunque la pistola del catastrofismo apocalittico. Così come è scarica, a sinistra, la pistola dell’antifascismo, dell’emergenza democratica rappresentata dai partiti di destra, con cui il centrosinistra ha governato per molti mesi. Così come è scarica, a destra, per le stesse ragioni la pistola della grande emergenza comunista. Così come è scarica, tra i partiti maggiormente sensibili ai temi anti casta, l’idea che sia necessario combattere contro un temibilissimo ordine finanziario globale destinato a interferire in modo letale con i nostri processi democratici – si è visto che effetto hanno avuto gli appelli dei poteri forti internazionali sulla tenuta del governo Draghi: zeru tituli.

   

La rimozione discreta dell’agenda Tafazzi non è detto che produca una campagna più sobria, più distaccata, più educata, ma la difficoltà per i partiti con ambizione di governo di descrivere l’Italia per quello che non è, una valle di lacrime, un insieme di macerie, un disastro economico, porterà le coalizioni a dividersi un po’ meno sui doveri e un po’ più sui diritti. E costringerà i leader a fare uno sforzo unico. Puntare meno cioè sulla carta dell’avversario da demonizzare, puntare un po’ meno sulla carta del paese da salvare e puntare un po’ più sulla carta del paese da cambiare: vi spieghiamo cosa vogliamo fare noi, non cosa rischiano di fare gli altri. In attesa di capire cos’è l’agenda Draghi, fare a meno del metodo Tafazzi potrebbe essere un passo mica male per allontanare l’Italia da un’altra agenda letale: quella del catastrofismo. Chissà.

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