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Così l’Italia del Covid è stata il palcoscenico della propaganda di Putin

Luciano Capone e Giovanni Rodriquez

L’accordo Spallanzani-Sputnik, la produzione del vaccino, lo sbarco dei militari con l'operazione "Dalla Russia con Amore". Con l'invasione dell'Ucraina si chiudono le collaborazioni imbarazzanti durante una fase drammatica della storia italiana

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L’invasione russa dell’Ucraina ha cambiato le priorità rispetto al Covid. Non solo per quanto riguarda l’agenda mediatica che ora, giustamente, è concentrata sulla guerra. Ma anche rispetto a una serie di progetti propagandistico-scientifici, e forse più propagandistici che scientifici, adottati in partnership con la Russia e improvvisamente messi da parte. La regione Lazio, ad esempio, ha improvvisamente messo fine alla collaborazione tra l’Istituto Gamaleya, ente controllato dal governo di Mosca, e l’Istituto Spallanzani di Roma che da quasi un anno lavorano sulla sperimentazione del vaccino russo Sputnik V. "Sospendiamo la cooperazione per Sputnik, perché la scienza deve essere al servizio della pace e non della guerra, come ha ricordato il Papa”, ha dichiarato l’assessore alla santità del Lazio Alessio D’Amato. L’argomentazione adottata non è molto chiara, ma se voleva essere una giustificazione appare più come un’imbarazzata ammissione di colpa. Se, infatti, l’obiettivo della partenrship con l’istituto russo era puramente scientifico probabilmente non ci sarebbe stato motivo di interrompere così bruscamente la collaborazione: se insomma la scienza è al servizio della pace, a maggior ragione bisognerebbe proseguire nella cooperazione tra scienziati per contrastare un problema globale come il Covid.

 

Il problema, invece, è che il vaccino Sputnik V – e quindi anche il memorandum con lo Spallanziani – è sempre stato uno strumento della propaganda del Cremlino: una prosecuzione della geopolitica con altri mezzi. E la cosa era talmente evidente che ora la regione Lazio si vede costretta a stracciare quell’accordo, parte del disegno di politica estera di Putin, perché politicamente insostenibile. Quello tra regione Lazio, Spallanzani e istituto Gamaleya è un rapporto di lungo corso. Il 13 aprile 2021 la regione aveva approvato uno schema di memorandum siglato tra l’assessore D’Amato, il direttore dello Spallanzani Francesco Vaia, il direttore del Gamaleya Alexander Gintsburg e il direttore generale del Fondo sovrano russo Rdif Kirill Dmitriev. Due le direttrici dello studio sullo Sputnik: da una parte si sarebbe dovuta approfondire l’efficacia del vaccino russo sulle varianti; dall’altra era prevista, dopo il via libera dell’Aifa, una sperimentazione su 600 volontari che hanno già avuto la prima dose di vaccino con AstraZeneca ai quali sarebbe stata somministrata una seconda dose di altri vaccini, ovvero Pfizer, Moderna e Sputnik. Il progetto è stato portato avanti fino a pochi giorni fa. Lo scorso 20 gennaio lo Spallanzani comunicava i risultati degli esperimenti di laboratorio condotti con l’ente moscovita, definendoli “estremamente incoraggianti per definire nuove strategie vaccinali in rapporto all’evoluzione delle varianti del Covid”. In sostanza quello studio – che presenta evidenti limiti scientifici, come ha evidenziato nelle scorse settimane Enrico Bucci sul Foglio – sosteneva non solo l’efficacia di Sputnik contro la variante Omicron, ma anche la maggiore efficacia rispetto al vaccino a mRna di Pfizer che sin dall’inizio è stato oggetto di operazioni di discredito da parte di russi e cinesi.

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Lo studio italo-russo ha avuto un’eco enorme in tutto il mondo ed è stato utilizzato dalla propaganda russa attraverso tutti i canali, anche quelli ufficiali come ad esempio l’attivissimo account Twitter dell’Ambasciata russa nel Regno Unito che il 27 gennaio ha riportato una dichiarazione del presidente utilizzato dalla propaganda russa attraverso tutti i canali, anche quelli ufficiali come ad esempio l’attivissimo account Twitter dell’Vladimir Putin: “Il confronto congiunto Russia-Italia sui vaccini effettuati dall’Istituto Spallanzani ha mostrato che il vaccino russo Sputnik è il migliore di tutti nella neutralizzazione di Omicron”. La data non è casuale, è il giorno successivo all’incontro, che ha messo in imbarazzo il governo Draghi, tra Putin e alcune delle principali aziende italiane. “Il presidente russo si è impegnato, come richiesto dagli imprenditori italiani, ad assicurare tranquillità e stabilità. Mi sembra una dichiarazione di pace e non di guerra” disse l’organizzatore di quell’incontro, il presidente della Camera di Commercio italo-russa Vincenzo Trani. Frasi pronunciate meno di un mese prima dell’invasione dell’Ucraina, che ora fanno rabbrividire e vergognare.

 

Trani, che è anche ceo della società moscovita di car sharing Delimobil nel cui cda sedeva Matteo Renzi (dimessosi dopo l’invasione dell’Ucraina), è uno degli italiani più vicini al Cremlino e alla diplomazia dello Sputnik. E’ infatti l’uomo che ha tentato di portare in Italia il vaccino russo e la sua produzione. E anche in questo senso, la politica italiana si è fatta strumento della propaganda del Cremlino. Quando a marzo 2011 c’erano ritardi nella consegna di AstraZeneca, la politica italiana invocava lo Sputnik (pur sapendo che non era stato autorizzato). Il 10 marzo la regione Lazio si diceva pronto a finanziare la produzione dello Sputnik. Il leader della Lega Matteo Salvini confidava in una rapida approvazione dello Sputnik da parte dell’Aifa, invitando a guardare a San Marino che usava il vaccino russo.

 

C’è stato anche un tentativo di produzione dello Sputnik in Italia, proprio grazie al lavoro di scouting di Vincenzo Trani che cercava aziende italiane da portare sul tavolo del fondo sovrano russo Rdif che gestisce il vaccino Sputnik, lo stesso dell’accordo con lo Spallanzani. Una di queste aziende pareva ormai prossima a partire con la produzione. Il 7 marzo 2021 il ceo del fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev, annunciò in un’intervista a “Mezz’ora in più” su Rai3 di aver chiuso un accordo con un’azienda italiana, l’Adienne di Caponago (Monza), per produrre “decine di milioni di dosi” di Sputnik a partire da giugno 2021. Pochi giorni dopo le cifre si sono ridimensionate: 10 milioni entro dicembre 2021. Il giorno dopo l’amministratore delegato di Adienne, Antonio Di Naro, ha detto che non prevedeva di produrre 10 milioni di dosi entro dicembre ma al massimo di ottenere l’autorizzazione. A oggi non è stata prodotta neppure una dose, perché l’Ema e l’Aifa non hanno mai approvato l’uso del vaccino né autorizzato la produzione per l’export. Insomma, un’altra operazione fumosa che, in una fase critica per la scarsità di dosi, da un lato è servita a gettare discredito sull’Ue e sulle case farmaceutiche occidentali, e dall’altro a sbandierare un salvifico intervento russo.

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Ma l’episodio più eclatante durante l’emergenza Covid riguarda l’operazione “Dalla Russia con amore”. Doveva essere una missione di aiuto sanitario, nell’Italia martoriata del marzo 2020, quando il Covid faceva strage nelle città lombarde. E invece la spedizione, figlia di una telefonata tra l’allora premier onata tra l’allora premier Giuseppe Conte e il presidente Putin, è stata perlopiù un’operazione di intelligence, dato che il contingente arrivato da Mosca a Pratica di Mare aveva più generali dell’esercito che medici. Si è trattato, probabilmente, del più grande dispiegamento di forze e mezzi militari di un paese non membro della Nato sul territorio di un paese dell’Alleanza atlantica. L’immagine dei mezzi militari russi che scorrazzano sulle strade italiane ora, dopo averli visti in azione in Ucraina, suscita più inquietudine di allora.mezzi militari russi che azzano sulle strade italiane ora, dopo averli visti in azione in Ucraina, suscita più inquietudine di allora.

 

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Per due anni l’Italia straziata dal Covid è stata, più o meno inconsapevolmente, il palcoscenico della propaganda geopolitica di Putin. Le bombe su Kyiv hanno chiuso definitivamente le collaborazioni poco edificanti fatte in una fase drammatica della storia del  paese.

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