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Questa volta sul Quirinale i partiti non possono dire “abbiamo scherzato”

Giuliano Ferrara

Il fantacolle e chi non vuole arrendersi a Draghi prima del tempo. Perché anche chi è abituato a tessere la tela intricata della politica sa che, in vista dell'appuntamento di inizio 2022, è vietato scherzare

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Abbiamo scherzato. Ecco, questo sarebbe il messaggio finale di una cieca insubordinazione di Parlamento e partiti alla ovvia, necessaria soluzione per il Quirinale: eleggere il propulsore e punto medio della maggioranza di emergenza e unità che governa da un anno il paese e che tutti a parole giudicano irrimpiazzabile fino alla fine della legislatura, e per ragioni forti. Credo che anche i più disinvolti praticoni, lo dico senza alcun segno di disprezzo, della famosa girandola del fantacolle, insomma gli osservatori e protagonisti di tante ondate di caotica ricerca di vantaggi di parte nella scelta di chi è super partes, il famoso garante, si rendano conto del fatto che “abbiamo scherzato” stavolta è un brocardo intenibile, impraticabile.

Nessuno dei fantasisti vuole cedere le armi e arrendersi prima del tempo. C’è la candidatura esplicita e irrituale del grande Berlusconi, il bisnonno, che scompagina il gioco presidenziale soffuso, un po’ obliquo, sottopelle ch’è tradizione e vanto di una Repubblica istituzionale con regole da club esoterico. E poi il chiacchiericcio su mille altre soluzioni possibili, almeno virtualmente. C’è Draghi che affronta la prova con il solito chiaro e impeccabile laconismo: il destino personale non conta, le cose importanti sono state fatte, preordinate, e il resto si può fare con chiunque altro al timone. Inoltre, aggiunge sulfureo, per quanto mi riguarda, sono disponibile a tutto tranne che, cosa inimmaginabile, a considerare irrilevante una spaccatura clamorosa della maggioranza di emergenza costituita dall’alto, con missione nazionale indicata da Mattarella, sulla scelta del magistrato repubblicano number one. Così si diffonde la paura partitica e parlamentare che porta la solita febbre delle vigilie: ci espropriano, contiamo niente, bisogna armarsi e guerreggiare per la costruzione di piattaforme e candidati che non siano più il prodotto di decisioni dall’alto, ci vuole il candidato nostro, dei partiti.

Andrebbe tutto non dico bene ma secondo il quia, se solo non si risolvesse il motivetto nella filastrocca “abbiamo scherzato”. Scherzavamo quando abbiamo fatto il primo governo populista arrembante dopo le elezioni del 2018, finito nel grottesco da spiaggia del Papeete; scherzavamo quando abbiamo rovesciato la padella e cucinato il governo trasformista che ha raddrizzato la baracca e affrontato la pandemia con una certa grinta, per poi volatilizzarsi nella solita crisetta; e ora che l’Unione ci ha messo a disposizione risorse inimmaginabili per riforma e trasformazione dell’economia e della società, per la famosa modernizzazione, ora che si è appena consumato un anno inaudito di unità nazionale e decisionismo fattivo su missione decretata dal capo dello stato, e incarnata da Draghi, ora di nuovo diciamo a noi stessi all’Europa e al mondo che abbiamo scherzato, vogliamo tornare a quel sottile caos fazioso in cui pullulano soluzioni e candidati di un giorno e di una votazione segreta per sbarrare la strada a chi fino a ieri, oltre che salvatore dell’euro, abbiamo considerato anche con eccessiva blandizie il supremo salvatore della nazione.

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Non lo dirà mai, ma sono convinto che perfino il sornione e sofisticato aedo della composizione e ricomposizione e scomposizione delle maggioranze e dei partiti, l’araldo marciante del primo-repubblicanesimo, l’andreottiano non pentito Cirino Pomicino, perfino lui in cuor suo, mentre tesse e ritesse a colpi di trovate e di interviste quel che si può della tela intricata che intrappola i grandi e restituisce il potere ai piccoli, sa che questa volta non si può scherzare, e non si può dire che abbiamo scherzato. Siccome i capipartito del francotiratorismo e della politique politicienne sono spregiudicati ma non fessi, sanno che l’elezione eventuale di Draghi al Quirinale non sarebbe la fine di un mondo eterno, italiano, istituzionale e politico, che non finisce mai, nessuno sarebbe davvero fatto prigioniero di una svolta di sistema, e un minuto dopo, con un garante capace di testimoniare la relativa serietà del gioco qui da noi, si potrebbe ricominciare a tramare e a fare e disfare, comporre e scomporre, senza tanti problemi e con risultati talvolta anche brillanti.

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