il colloquio

"Draghi? Un vero riformista. La sua maggioranza molto meno". Chiacchierata con Fabrizio Cicchitto

Francesco Corbisiero

Da Meloni a Salvini, dal Pd ai 5 stelle: "Nei partiti c'è un deficit di riformismo". Il futuro del premier? "Meglio che resti a Palazzo Chigi fino al 2023, con Mattarella al Quirinale". Parla l'ex parlamentare di FI, fondatore dell'associazione Riformismo e libertà

Tempi duri per i riformisti. E per il riformismo. I riflettori puntati sui risultati delle elezioni amministrative e sulle tensioni dovute all’obbligatorietà del green pass sui luoghi di lavoro hanno fatto passare in secondo piano, almeno per il momento, il motivo stesso per cui Mario Draghi si trova a Palazzo Chigi. Condizione forse necessaria, ma non sufficiente, per accedere alle risorse stanziate dal Recovery Fund: le riforme di struttura, si sarebbero chiamate un tempo. "Dagli anni Venti agli anni Ottanta del secolo scorso, in pochi si sono definiti riformisti e ancora meno, in effetti lo sono stati" spiega al Foglio Fabrizio Cicchitto, parlamentare di lungo corso, fondatore e presidente dell’associazione Riformismo e Libertà. Il think tank riunisce molti nomi autorevoli, provenienti da esperienze politiche diverse: i socialisti Riccardo Nencini, Bobo Craxi e Claudio Signorile, il liberale Enrico Costa, il filosofo Biagio De Giovanni, il sindacalista Marco Bentivogli, gli ex Ds Umberto Ranieri, Claudio Petruccioli e Enrico Morando. Il Foglio ha raggiunto al telefono il suo presidente per una chiacchierata sui principali temi dell’attualità politica di questi giorni.

 

Onorevole Cicchitto, lei dove ha votato? E per chi?

Ho votato a Roma. E per Carlo Calenda. Perché ha presentato una proposta mille volte migliore non solo rispetto all’esperienza fallimentare di Virginia Raggi, ma soprattutto rispetto alle alternative rappresentate da Roberto Gualtieri e Enrico Michetti.

 

Secondo lei in quali condizioni esce il riformismo dalle elezioni amministrative? Come se la passa nei grandi centri in cui si è andati al voto? 

Ci sono elementi di riformismo nella vittoria di Beppe Sala a Milano e in quella di Matteo Lepore a Bologna. Quest’ultima non stupisce, l’Emilia-Romagna è una tra le poche regioni del paese in cui è avvenuta una traduzione del comunismo italiano in riformismo nella gestione della cosa pubblica

 

E altrove? 

Da nessun’altra parte. Non si può parlare di vittoria del riformismo ovunque il Pd aspetti il contributo dei 5 stelle per vincere alle urne e governare.

 

Sul piano nazionale, come giudica l’agenda Draghi? Si tratta di riformismo?

Certo. Ma ci troviamo di fronte a un paradosso: con Mario Draghi il riformismo è arrivato al potere, ma il potere si è personalizzato.

 

Cosa intende? 

Le forze politiche che fanno parte della maggioranza che sostiene il governo sono fragili e contraddittorie. E molto poco riformiste. Fratelli d’Italia, per esempio, non ha nulla a che vedere con questa tradizione. Nella Lega può essere considerata tale la corrente dei governatori e tutte quelle personalità, come Giancarlo Giorgetti, che dal punto di vista economico rappresentano al Nord il collegamento tra i piccoli-medi imprenditori e gli operai con in tasca la tessera della Cgil. Ma di certo non Matteo Salvini. Sul versante opposto, qualcuno come Luigi Di Maio ha imparato a fare politica, ma il Movimento 5 Stelle non può dirsi affatto riformista. Quanto al Pd, al netto della sua professionalità politica e del suo forte legame con l’Unione europea, alla possibilità di rappresentare il riformismo va aggiunto un punto di domanda. Al di là di Draghi, però, non c’è vero riformismo. Mi sento ottimista per l'immediato presente, ma abbastanza sconfortato rispetto al futuro.

 

Vorrebbe che Draghi rimanesse a Palazzo Chigi?

Mi auguro che ci resti almeno fino al 2023. La sua sola presenza al governo rappresenta per l’Italia un’assicurazione sulla vita. E, con tutto il rispetto per le persone e il ruolo che ricoprono, governi guidati da Marta Cartabia o Daniele Franco sarebbero sprovvisti della forza politica necessaria per portare avanti le riforme nel modo in cui sta facendo lui.

 

Se il premier non dovesse fare le valigie per trasferirsi al Quirinale, quale nome potrebbe rappresentare un’alternativa per il Colle, a suo avviso?

Compatibilmente con la sua volontà, sarebbe bene che il presidente Mattarella restasse al suo posto ancora per un paio d’anni. Ma personalità garantiste, riformiste, europeiste e capaci di rappresentare l’Italia, fuori e dentro al Pd, esistono. Per adesso, però, meglio non fare nomi. 

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