le mosse del segretario dem

Letta e Conte, il sentiero stretto dell'Ulivo 2.0

L'incontro tra i due ex. "C'è molto filo da tessere", dice Letta. Ma la coperta rischia di essere corta. L'allarme di Bonaccini su un nuovo caso Guazzaloca a Bologna. L'ingombro della Raggi. Le trame di Casaleggio

Valerio Valentini

"Sarebbe assurdo non provarci, Giuseppe". Il segretario del Pd impegna l'avvocato del popolo nella sfida delle amministrative, dove però (vedi Torino e Bologna) si rischia di scoprirsi al centro. Ma il M5s è in tilt. Il nodo della legge elettorale e il fantasma del Rosatellum. 

Sulla soglia della buvette del Senato, Gianluca Ferrara, vicecapogruppo del M5s, è fiducioso: “Spero davvero che oggi la Casellati calendarizzi la mia interrogazione sul viaggio di Renzi in Arabia”. Passa un’ora e dall’Aula esce proprio lui, il leader di Iv, che plaude al discorso di Mario Draghi: “Stiamo recuperando finalmente i mesi persi. Agli orfani di Giuseppe Conte dico solo bye bye”. Sta tutta qui, nell’incompatibilità di questi due mondi, la difficoltà dello sforzo di Enrico Letta. Il quale, cento metri più in là, in Piazza Sant’Andrea della Valle, a colloquio col premier di Volturara, sta avviando un percorso che dovrà fare in modo di conciliare l’inconciliabile, di imbastire la trama (“C’è molto filo da tessere, lo so”, dice) che deve portare a un nuovo Ulivo 2.0 che vada da Fratoianni a Calenda, che tenga insieme Renzi e Conte.

 

Fosse per quest’ultimo, ripeterebbe in pubblico quel che vocifera in privato: ricambiando insomma le carinerie che il Senatore di Scandicci gli rivolge, e dicendo che “non potete chiedermi di sedermi di nuovo allo stesso tavolo dove c’è quello là”. Letta, dal canto suo, scandisce che “nessuno può alzare dei muri”, e ai membri della sua segreteria dice che “un Pd centrale dialoga con tutti senza accettare veti da nessuno”. 
Ma quanto sia corta la coperta che il segretario dem sta cucendo, lo dimostra la sfida su cui, prima d’ogni altra, bisognerà misurare le ambizioni del nuovo campo progressista. “Perché sarebbe un paradosso non gestire tutte le amministrative nel quadro di una coalizione che si va definendo, quella di un centrosinistra allargato che stringe un rapporto privilegiato col M5s guidato da te”, dice Letta a Conte. Declassandolo dunque, rispetto alla visione che ne dava Nicola Zingaretti, da punto fortissimo di riferimento dei progressisti a responsabile della condotta del grillismo.

 

E non che, a ben vedere, sia un ruolo facile. Perché il M5s è allo sbando, ovviamente, coi gruppi parlamentari che attendono Godot e nel frattempo si lanciano in conte interne: quella promossa da Carlo Sibilia, con la sua corrente “Italia più 2050” che ha infastidito assai Luigi Di Maio, e quella in cui si sta lanciando Stefano Buffagni insieme all’altro ex sottosegretario, Giuseppe L’Abbate. Ma poi, soprattutto, c’è la questione Rousseau. E se è vero che in tanti, nel M5s, sperano in un atto d’imperio di Conte per liberarsi dal giogo di Davide Casaleggio, è anche vero che il fu avvocato del popolo non ha grande voglia di trasformarsi nell’avvocato dei parlamentari che vogliono usare lui per liquidare i conti con Via Morone.

 

E piuttosto, Conte preferirebbe mettersi alla guida di un partito ripulito dalle tossine (politiche e giudiziarie) del passato. Per di più, la prima sfida su cui dovrà provare la sua leadership, è di quelle ardue: perché a Roma, con Virginia Raggi in campo, un’intesa col Pd resta impossibile. E anche altrove, Letta sa che, assecondando troppo gli umori del grillismo, si rischia di scoprirsi al centro. Non a caso ai suoi fedelissimi, Stefano Bonaccini ha spiegato che, se Gianluca Galletti correrà davvero col centrodestra, a Bologna si dovrà stare attenti a non schiacciarsi a sinistra, perché sennò si rischia un nuovo caso Guazzaloca. “Stessa cosa a Torino”, sbuffa il deputato Giacomo Portas, leader dei Moderati, che racconta: “A Francesco Boccia ho detto chiaramente che se s’inseguono gli appelli della Appendino, tanti nostri amici sosterranno Paolo Damilano, il civico indicato da Salvini”.

 

Certo, le sorti del “nuovo Ulivo” di Letta passano in gran parte dalla legge elettorale. Ieri, con Conte, il segretario del Pd s’è limitato a un rapido accenno alla questione. Ma nel frattempo ha mandato i suoi pontieri a proporre alla Lega un possibile accordo: quello su un doppio turno di coalizione, con eventuale premio di maggioranza che scatterebbe al 40 per cento. “Di legge elettorale non stiamo parlando, e non mi pare un tema all’ordine del giorno”, sentenzia, liquidatorio, il ministro grillino Stefano Patuanelli. “Noi per ora restiamo fermi al proporzionale”, aggiunge. “Ma i cinquestelle devono capire che il proporzionale non è più un’opzione, ora che Forza Italia è tornata stabilmente in alleanza con la Lega”, spiega il dem Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. “Il rischio è semmai quello di arrivare al voto col Rosatellum, senza cioè avere una legge elettorale che favorisca le alleanze e consenta però a ciascuno di correre sotto il proprio simbolo. E col Rosatellum, bisognerebbe convincere i nostri elettori a votare per alcuni dei candidati del M5s nei collegi uninominali, e gli elettori grillini a sostenere i candidati nostri, o magari quelli di Renzi e Calenda”. E sì, visto da qui il sentiero di Letta sembra davvero assai stretto. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.