le prime mosse del segretario

"Ognuno deve dire da che parte sta". La via di Letta verso la riforma della legge elettorale

Valerio Valentini

Il segretario del Pd si confronta coi capigruppo Delrio e Marcucci. La bella bandiera delle ius soli, che serve anche a stanare il M5s. I contatti con la Lega sul maggioritario per cristalizzarre le coalizioni prima del voto e chiamare allo scoperto Renzi e Calenda

A vederla coi loro occhi, la prova di forza avrebbe una logica. “Perché il segretario è l’espressione della maggioranza dell’assemblea, e i numeri sono chiari”, dicevano i fedelissimi di Zingaretti alla vigilia dell’apoteosi di Enrico Letta. E dunque ci sta che i seguaci dell’ormai ex leader, demandino al successore di Zinga quel che Zinga non aveva saputo, o voluto, fare. “Cambiare i capigruppo? In caso mi riposo e sto sereno”, sorrideva Graziano Delrio coi deputati che gli chiedevano conto di quelle che l’ex ministro liquidava come “voci messe in giro ad arte”.  Insomma nessun blitz per rinnovare i capi della truppa di Camera e Senato.

 

Ed è forse con l’aria di chi vuole sgomberare il campo da equivoci, che Andrea Marcucci ha spiegato ai suoi colleghi di Palazzo Madama che, se non ha rimesso il suo mandato nelle mani del nuovo segretario, è solo per un rispetto delle forme. “Quando venne eletto Zingaretti, ci rimettemmo alla volontà di Nicola sapendo bene che avevamo sostenuto un altro candidato alla segreteria. Ma stavolta è diverso”. Come che sia, l’intenzione di Marcucci è quella di invitare Letta alla prossima assemblea di gruppo, per avere dalla sua viva voce un segno di chiarezza, accantonando dunque, almeno per ora, l’ipotesi che qualcuno dei suoi pure gli aveva suggerito, e cioè quella di sfruttare la riunione di stamane, convocata per approvare il bilancio del gruppo, come un momento per pesarsi e blindarsi.

 

Del resto, sia Delrio sia Marcucci, col nuovo segretario hanno già avuto modo di confrontarsi. Perché Letta ha chiamato entrambi per avere da loro un riscontro sugli equilibri nelle Aule e nelle commissioni sui vari temi più delicati. E se sullo ius soli i rapporti di forza e l’ambiguità dei grillini sulle questioni legate a sicurezza e immigrazione non consentono grandi spazi di manovra, se non quello utile ad aprire un dialogo e imporre a ciascuno di dire come la pensa, sul ginepraio della legge elettorale il segretario è parso già ben informato delle trattative trasversali di retrobottega. Perché prima ancora che dalla personale propensione al maggioritario, per Letta l’ipotesi del proporzionale è superata dalla presenza ingombrante della Lega in maggioranza. E lui che col mondo di Giancarlo Giorgetti ha contatti solidi e strutturati, sa bene che il Carroccio mai acconsentirebbe ad approvare una legge elettorale che ridarebbe animo alle spinte centriste di Forza Italia.

 

L’evocazione del Mattarellum, dunque, per ora serve solo a questo: a decretare la fine della stagione proporzionale (“Anche se dobbiamo stare attenti a evocarlo ad alta voce”, si sono sentiti dire gli uomini di Letta da chi, in Parlamento, segue il dossier, “perché Salvini potrebbe prenderci in parola”). Ma la priorità del segretario, ad allungare lo sguardo fino al 2023, è in effetti un’altra: quella, cioè, di assicurarsi un sistema di gioco che imponga a tutti di formalizzare le alleanze prima del voto, in un regime di bipolarismo di fatto.

 

E qui si capisce anche l’ammiccamento fatto da Letta a Matteo Renzi e Carlo Calenda. Li ha citati tra le componenti del campo di centrosinistra da ricostruire, evidentemente, ma col tono di chi vuole anche “chiamarli allo scoperto”. E così, se da un lato agitare i temi identitari della sinistra serve a stanare il M5s, l’apertura a Azione e Iv dovrà portare, nell’ottica del segretario dem, a evitare il rischio di un centro basculante che possa agire da ago della bilancia. Del resto la pregiudiziale antisalviniana resta forte in tanti seguaci di Calenda. Quanto ai renziani, a Letta è stato riferito che un discreto manipolo di parlamentari di Iv considera la collocazione nel centrosinistra, sia pur da posizioni liberaldemocratiche, discriminante per la propria permanenza nel partito. E se Renzi ha convocato ieri sera i gruppi, in vista dell’Assemblea nazionale di Iv di sabato, è anche per sondare gli umori dei suoi sul tema.

 

Certo, un Pd che s’affanna nella rincorsa al grillismo non potrebbe che agevolare il compito di chi lavora all’autonomia strategica del centro. “Ma è proprio per questo - spiega Alessandro Alfieri, colonnello della corrente riformista del Pd - che ci riconosciamo nell’idea di Letta di rilanciare e ricostruire un campo largo del centrosinistra, per poi confrontarci in modo per nulla subalterno col M5s. Rispetto a chi proponeva un rapporto privilegiato, quasi esclusivo, con Conte e Grillo, direi che si è aperta una fase nuova”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.