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Il pallottoliere a Palazzo Madama

Basta un grillino su tre al Senato per blindare il governo Draghi

Il M5s è in fibrillazione: una metà elogia il fautore del "whatever it takes", una metà lo definisce "un vile affarista" recuperando le parole di Cossiga. La conta improvvisata nel gruppo del Senato, poi la smentita. Alle 15 i grillini si riuniscono in assemblea

Tra i pretoriani di Conte (sia nel Pd sia nel M5s) c'è chi lavora per far fallire l'ex capo della Bce. Palazzo Chigi punta sull'implosione del Movimento. Ma per fare la maggioranza Ursula al Senato bastano una trentina di senatori su 92: non impossibile

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La contraddizione corre sulle chat. Parallele e confliggenti. E così, mentre alcuni esponenti di governo vicini a Luigi Di Maio, due giorni fa, citavano il celebre editoriale di Mario Draghi sul Financial Times del marzo scorso, quello dell'elogio al "debito buono", per confermarsi a vicenda sulla necessità di convincere il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri a non indugiare sulla rottamazione delle cartelle, altri membri dell'esecutivo, fedelissimi di Giuseppe Conte, inviavano ai senatori un video che sull'ex governatore della Bce esprimeva giudizi assai meno lusinghieri: quelli, cioè, che Francesco Cossiga consegnava a Luca Giurato, in una vecchia puntata di Uno Mattina. E insomma gli uni rinverdivano il mito del fautore del "whatever it takes", gli altri lo dipingevano come "un vile affarista che non si può nominare presidente del Consiglio perché è stato al soldo della Goldman Sachs". Eccolo, dunque, il travaglio del M5s.

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La contraddizione corre sulle chat. Parallele e confliggenti. E così, mentre alcuni esponenti di governo vicini a Luigi Di Maio, due giorni fa, citavano il celebre editoriale di Mario Draghi sul Financial Times del marzo scorso, quello dell'elogio al "debito buono", per confermarsi a vicenda sulla necessità di convincere il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri a non indugiare sulla rottamazione delle cartelle, altri membri dell'esecutivo, fedelissimi di Giuseppe Conte, inviavano ai senatori un video che sull'ex governatore della Bce esprimeva giudizi assai meno lusinghieri: quelli, cioè, che Francesco Cossiga consegnava a Luca Giurato, in una vecchia puntata di Uno Mattina. E insomma gli uni rinverdivano il mito del fautore del "whatever it takes", gli altri lo dipingevano come "un vile affarista che non si può nominare presidente del Consiglio perché è stato al soldo della Goldman Sachs". Eccolo, dunque, il travaglio del M5s.

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A sentire chi tiene il pallottoliere per Giuseppe Conte, chi insomma lo induce a tenere duro ("Perché il Movimento Draghi non lo vota e a quel punto si potrà andare alle elezioni"), l'esito della conta è già segnato. Specie al Senato, che è il vero banco di prova della tenuta di qualsiasi maggioranza. Ebbene su 92 esponenti del gruppo del M5s a Palazzo Madama, ieri sera 78 risultavano agli sherpa di Palazzo Chigi come pronti a votare contro un governo Draghi. Quattordici gli astenuti, due soli i favorevoli. Inutile anche provarci, se davvero fosse così. Se non che, a ben guardare, il sondaggio effettuato lascia un po' il tempo che trova: e forse dimostra la sua vera natura di wishful thinking, il desiderio di alcuni di quei big del Movimento, da Paola Taverna a Stefano Patuanelli, da Fabiana Dadone a Nicola Morra, si sono affrettati a dichiararsi contrari all'ipotesi di Draghi cercando di ottenere da Beppe Grillo una presa di posizione in tal senso. Cosa che il Garante avrebbe fatto, al momento, solo privatamente, rinnovando la sua fiducia al fu avvocato del popolo. Il sondaggio, si diceva, è in verità frutto di una riunione improvvissata, nelle ore convulse di ieri pomeriggio, a cui poi è seguito il solito profluvio di commenti a ruota libera nella chat del gruppo. Un po' poco, ancora, per poter dire che la geografia interna del M5s al Senato sia davvero questa. 

 

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Numeri alla mano, però, la situazione non è facilissima. Considerando come scontati i Sì di Pd e di Italia viva, la maggioranza "Draghi" partirebbe da una base minima di 53 voti. A questo se ne dovranno aggiungere, tra il Misto e le Autonomie, almeno 20 (più probabile 22/23). Siamo ad almeno 73. Difficile ipotizzare che Forza Italia possa sottrarsi all'appello di Sergio Mattarella su un nome come quello dell'ex governatore della Bce, indicato e voluto da Silvio Berlusconi alla guida dell'Eurotower. Con i 52 forzisti, Draghi arriverebbe a 125. Poi c'è l'incognita dei "responsabili": al Senato sono dieci. E, benché nati in sostegno a Conte, pare difficile pensare che un gruppo nato sotto il vessillo degli "Europeisti" possano opporsi a Draghi. Saremmo a quota 135. E dunque, senza considerare le eventuali astensioni della Lega o di Fratelli d'Italia, ci si troverebbe di fronte alla necessità di ottenere 26 grillini per arrivare alla quota di 161, quella della maggioranza assoluta. Ne servirebbero forse 35 per avere margini di sicurezza ulteriori. Su un totale di 92 esponenti del gruppo. Un grillino su tre: missione non proprio impossibile. 

 

Almeno non pare tale agli occhi di Matteo Renzi, che ha infatti chiesto ai suoi parlamentari di tenere bassi i toni e tentare un'opera di convincimento sui colleghi scettici del M5s. "Chi ha rapporti con grillini vada personalmente alla ricerca di un pacato ragionamento. Uno per uno sui grillini dubbiosi", ha raccomandato il leader di Iv ai suoi senatori. Di altro avviso, invece, una parte del Pd. Quella più vicina a Conte, segnatamente. Che ancora stamattina mandava dei suoi delegati dem a tentare i senatori scettici di Iv: "Se anche solo una manciata di voi lasciasse Renzi ora, sarebbe il segnale che fare subito il Conte ter è possibile". Ma ormai già Draghi varcava il portone d'ingresso del Quirinale. 

 

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