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L'intervista

La paura degli attentati e quella del Covid. Parla Marco Minniti

Salvatore Merlo

Il virus e l’islamismo. “Il coronavirus porta a una distrazione politica e strategica. Vienna ne è l’esempio”, ci dice l'ex ministro dell'Interno

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Teme una cosa, Marco Minniti, ovvero che ci sia in Europa “una distrazione politico-strategica” nei confronti del terrorismo islamista. Perché “il Covid ha cambiato radicalmente la valutazione delle priorità. È nelle cose. Ma non tutto ciò che è nelle cose significa che sia giusto”. Ed esperienza d’altra parte ne ha da vendere, Minniti. Si trovava al governo nel 2015 ai tempi del Bataclan. Prima con le deleghe ai servizi, poi alla guida del ministero dell’Interno, fino al 2018, durante tutta la fase più acuta di quella sanguinosa sfida dell’Isis “che l’Italia ha passato indenne non grazie alla buona sorte ma alla sua esperienza nella lotta al terrorismo interno”.

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Teme una cosa, Marco Minniti, ovvero che ci sia in Europa “una distrazione politico-strategica” nei confronti del terrorismo islamista. Perché “il Covid ha cambiato radicalmente la valutazione delle priorità. È nelle cose. Ma non tutto ciò che è nelle cose significa che sia giusto”. Ed esperienza d’altra parte ne ha da vendere, Minniti. Si trovava al governo nel 2015 ai tempi del Bataclan. Prima con le deleghe ai servizi, poi alla guida del ministero dell’Interno, fino al 2018, durante tutta la fase più acuta di quella sanguinosa sfida dell’Isis “che l’Italia ha passato indenne non grazie alla buona sorte ma alla sua esperienza nella lotta al terrorismo interno”.

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Colpiscono molto le immagini di Vienna. Gli spari nelle strade vuote. In una città deserta, in coprifuoco, pronta al lockdown. È come se i terroristi fossero frustrati dal non essere più la prima paura dell’occidente. “Sui giornali di ieri mattina l’attentato di Vienna è arrivato in prima pagina a spintoni”, dice Marco Minniti. “E non sempre nel taglio più alto. Fra due giorni che succederà? L’omicidio del professor Samuel Paty lo abbiamo archiviato in 48 ore. La strage di Nizza pure. Non per colpa. Ma perché è in corso un’altra partita. Le migliaia di contagiati. Le centinaia di morti. Il Covid ha colpito al cuore le nostre comunità. Ebbene, bisogna ricordare un fatto. Durante la primavera scorsa, mentre eravamo nel pieno del lockdown, lo stato islamico fece una dichiarazione. I terroristi definivano il Covid un ‘castigo di Dio’ che non solo si abbatte sugli infedeli ma li rende anche più deboli. Vedete, il pensiero dei terroristi, per quanto inaccettabile, non è così campato per aria. Le grandi democrazie, impegnate sul fronte del Covid, obiettivamente adesso non sono così pronte nella risposta. Noi a volte non riusciamo a reggere la complessità dell’azione. Se è vero che il terrorista ammazzato a Vienna è, come dicono, un giovane con passaporto austriaco che era stato in galera fino a dicembre perché pronto a partire in Siria, questo è un dato molto importante. Dimostra il fascino diabolico del Califfato, che regge malgrado la sconfitta militare. Ma, e lo dico senza voler dare lezioni a nessuno, sembra dimostrare anche una sottovalutazione della minaccia rappresentata da questa persona. Lo ripeto: era in carcere perché voleva andare a combattere in Siria. Non era in carcere per spaccio. Allora si può ragionevolmente pensare che magari il Covid abbia portato a un abbassamento dell’attenzione. Può darsi. Per noi, che viviamo mediamente delle vite degne di essere vissute, il Covid è una paura assoluta. È la paura della morte. Di una morte in solitudine, per giunta. Lontana dagli affetti. Ma per coloro che considerano auspicabile la morte in quanto ‘vita che non finisce’ è tutto un altro discorso. Per gli islamisti la morte è l’opportunità di un riscatto”.

 

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E allora c’è anche una scelta nei tempi e forse anche un preciso simbolismo in questa sequela di attentati, prima in Francia e ora in Austria. “Lo stato islamico ha sempre avuto molta attenzione per i messaggi”. dice Minniti. “Non dimentichiamo di quando a un certo punto lanciarono l’offensiva delle automobili: ‘ Se avete un kalashnikov usatelo e sparate, se avete un coltello prendetelo e uccidete, se non avete nulla di tutto questo prendete una macchina’. E si susseguirono una serie di atti omicidi. Di cui la strage di Nizza, sulla Promenade des Anglais, fu l’emblema. Il sistema era, ed è, questo. Lanciare un messaggio e vedere chi lo raccoglie. L’idea dell’offensiva terroristica non è mai morta. E’ come un virus che perde d’intensità, subisce una mutazione e poi ritorna forte o più forte di prima. Non scompare, ma cambia. Oggi l’Isis non ha più il controllo del territorio, è stato cacciato dall’Iraq, cambia strategia perché il suo leader Bagdadi è morto, ma non ha perso mai sua capacità di diffusione. Gli esempi ci sono dati dalla vicenda francese e dalla vicenda austriaca. Se ci pensate bene c’è anche una simmetria assoluta con gli attentati del 2015. Nel 2015 tutto parte con Charlie Hebdo. E oggi di nuovo l’omicidio del professor Paty, che aveva mostrato le vignette sul Profeta, è legata alla storia di Charlie. Quello che loro chiamano iconoclastia e che noi semplicemente consideriamo libertà di pensiero. Paty non voleva dire che condivideva quelle vignette su Maometto, ma voleva dire che era pronto a difendere la libertà di disegnarle e mostrarle. Se Paty è la stessa vicenda di Charlie Hebdo nel 2015, l’attentato di Vienna è il Bataclan. Anche stavolta, sebbene in scala considerevolmente minore, siamo di fronte a una iniziativa complessa e molto organizzata. Forse non sapremo mai chi decide gli obiettivi. Può darsi pure che questi obiettivi siano frutto di una casualità, però non sfugge a nessuno che nel terrorismo islamista c’è sempre stata una scelta altamente simbolica degli atti. Perché l’atto dev’essere un esempio da replicare. Oggi, forse, anche nella distrazione dell’occidente e dell’Europa”.

  

Infine, Minniti fa una considerazione di carattere geopolitico. “Ho apprezzato le parole del ministro degli Esteri turco, che ha condannato l’attentato di Vienna. Ma quando Erdogan dice, come ha fatto qualche settimana fa, che l’Europa tratta i musulmani come gli ebrei nel momento buio dei campi di sterminio, allora diventa difficile non comprendere che è in atto una sfida alla civiltà europea moderna. Civiltà che è nata sulle macerie dell’Olocausto, proprio contro quegli orrori. Oggi è l’Europa che è sfidata. Nel momento in cui Erdogan lanciava quelle parole sono successi fatti impensabili. Si è sollevata nei suoi confronti una solidarietà vasta. A Dacca, nel Bangladesh, per esempio, in piena epidemia di Covid, si è tenuta una manifestazione pro Erdogan con 40 mila persone in piazza. È in atto una sfida all’Europa, ai suoi valori, a ciò che rappresenta in termini di democrazia, tolleranza, laicità. Ed è una sfida che la Turchia gioca nel Mediterraneo. In Libia. Dove i turchi sono tornati come ai tempi dell’impero ottomano. Si agitano fantasmi pericolosi. E il Covid non è l’unico pericolo per il nostro modello democratico e sociale. Guai a distrarsi”.

 

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