Meloni in India alla ricerca di un'alternativa alla Via della Seta

Giulia Pompili

La partnership con il primo ministro Narendra Modi diventa strategica, ma per Delhi il nemico è la Cina, non la Russia

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata a Delhi per una visita di stato di ventiquattro ore, accompagnata dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e da una delegazione d’affari di alto livello. Inaugura oggi il Raisina Dialogue, l’annuale conferenza di geopolitica e sicurezza organizzata dal ministero degli Esteri indiano, insieme con il primo ministro Narendra Modi. Secondo gli osservatori indiani, il discorso d’apertura di Meloni sarà anche un discorso programmatico su un maggiore impegno – non solo economico, ma anche politico – dell’Italia nella regione dell’Indo-Pacifico. Dopo dieci anni di freddezza diplomatica nei rapporti tra Roma e Delhi, dovuta anche al caso dell’Enrica Lexie e dei due fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, tutto è perdonato. Anzi, di più: secondo quanto si apprende, Meloni e Modi potrebbero annunciare l’elevazione dei rapporti bilaterali tra Italia e India al livello di partnership strategica, come hanno fatto, durante la visita del primo ministro giapponese Fumio Kishida a Roma il 10 gennaio scorso, Italia e Giappone. 


Sin dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, un anno fa, e vista la presidenza di turno del G7 del Giappone e del G20 dell’India, il focus della diplomazia internazionale si è spostato a oriente. E’ in questa parte di mondo  che l’alleanza occidentale cerca di costruire una partnership di paesi “like minded”, che la pensano allo stesso modo, in chiave antiautoritarismi, e quindi anche contro la Cina. 

 


Dal punto di vista indiano, però, la guerra della Russia contro l’Ucraina è una guerra regionale, la Russia è un paese partner dell’India, e le piattaforme internazionali servono soprattutto a rinnovare la pressione contro l’assertività di Pechino. Meloni arriva a Delhi in un momento molto attivo della diplomazia indiana, che proprio in questi giorni ospita il G20 dei ministri degli Esteri: l’altro ieri, a Delhi, c’era anche il ministro degli Esteri della Federazione russa Sergei Lavrov, accolto dal ministro degli Esteri indiano S. Jaishankar soltanto un paio di ore dopo il capo della diplomazia europea, Josep Borrell. 

 


La leadership di Narendra Modi, inaugurata nel 2014, era la grande speranza (soprattutto americana) per il contenimento del gigante cinese in Asia – è per il coinvolgimento dell’India che l’intero quadrante dell’Asia-Pacifico a un certo punto è diventato, anche nei documenti ufficiali, quello dell’Indo-Pacifico. Nel giro di pochi anni, però, l’esecutivo Modi si è mostrato molto più conservatore e – su certi temi – più estremista di quanto previsto, e in alcune occasioni ha messo in difficoltà i partner occidentali. Negli ultimi mesi è stata soprattutto con la questione ucraina che il governo Modi ha cercato di sottolineare la sua indipendenza dal punto di vista della politica estera: la scorsa settimana alla riunione dei ministri delle Finanze del G20 a Bangalore non si è riusciti ad arrivare a una dichiarazione finale, perché la presidenza indiana ha rilevato “diverse valutazioni della situazione in Ucraina”. Ma ci sono state anche altre prove di forza legate alla politica interna. Domenica scorsa, per esempio, le autorità indiane hanno arrestato per corruzione Manish Sisodia, vicecapo del ministero locale di Delhi e leader del partito di opposizione centrista Aam Aadmi. A metà febbraio, le autorità indiane hanno perquisito per tre giorni le redazioni della Bbc di Delhi e Mumbai per ragioni fiscali, ma l’operazione è arrivata pochi giorni dopo la pubblicazione di un documentario, da parte dell’emittente britannica, che criticava l’operato di Modi. 

 


Meloni arriva in India con una delegazione di Confindustria e di Leonardo. La stessa Confindustria che, a quanto risulta al Foglio, aveva chiesto al governo italiano cautela sugli annunci di non rinnovo della Via della Seta con la Cina, per paura delle ripercussioni sul business con Pechino. Dopo la chiusura del mercato russo a causa delle sanzioni, l’apertura di una strada verso l’India è un tentativo di rassicurare le aziende italiane su alternative asiatiche credibili, nel caso in cui Roma decidesse, entro la fine dell’anno, di uscire dal progetto strategico di Pechino e la Cina decidesse di vendicarsi. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.