Perché la Corte penale dell'Aia può ben poco contro Putin

Da anni le autocrazie riscrivono le regole delle istituzioni sovranazionali. Alla Russia basterà dire: non riconosco questo tribunale

Giulia Pompili

Il rapporto di Human Rights Watch dalle aree liberate in Ucraina e la raccolta delle prove sui crimini di guerra compiuti dalle forze armate russe. Ma per un vero processo giusto e garantista potrebbero volerci anni, e il consenso di tutti. Non è questo il caso

Lunedì il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha fatto un appello alla Corte penale internazionale dell’Aia affinché “organizzi al più presto delle missioni a Bucha e nelle altre zone liberate per raccogliere tutte le prove sui crimini di guerra” compiuti dai soldati russi. Anche la Polonia ha annunciato che si rivolgerà alla Corte penale internazionale per chiedere di inviare “immediatamente” i suoi investigatori a Bucha, Irpin e Hostomel, stessa richiesta del primo ministro inglese Boris Johnson, che ha annunciato anche “un ulteriore sostegno finanziario”. Il presidente americano Joe Biden ha detto: “Dobbiamo avere i dettagli. Raccogliere informazioni. E poi ci sarà un processo per crimini di guerra”. Ma non è così facile. La comunità internazionale parla ormai una lingua diversa rispetto a quella delle autocrazie e dei dittatori.

 

In realtà le prove ci sarebbero già, quelle che stanno raccogliendo organizzazioni indipendenti e ong su cui di frequente sono basate le indagini preliminari della Corte dell’Aia. Domenica 3 aprile, Human Rights Watch ha pubblicato un report per stomaci forti: l’organizzazione “ha documentato diversi casi di militari russi che hanno commesso delle violazioni delle leggi di guerra contro i civili nelle aree occupate delle regioni ucraine di Chernihiv, Kharkiv e Kyiv”, si legge nel report. Queste violazioni includono: “Un caso di stupro multiplo; due casi di esecuzione sommaria, uno di sei uomini, l’altro di un uomo; altri casi di violenza illegale e minacce contro civili tra il 27 febbraio e il 14 marzo 2022. I soldati sono stati anche attivi nel saccheggio di proprietà dei civili, inclusi cibo, vestiti e legna da ardere. Coloro che hanno compiuto questi abusi sono responsabili di crimini di guerra”. Le informazioni raccolte da Hrw si basano sulle testimonianze di dieci tra vittime e residenti, e il dettagliato rapporto fa presente che “tutte le parti coinvolte nel conflitto armato in Ucraina sono obbligate a rispettare il diritto internazionale umanitario e le leggi di guerra”, che vietano l’attacco indiscriminato ai civili, i saccheggi e la violenza sessuale. 


La Corte penale dell’Aia è uno dei luoghi simbolo delle regole internazionali, parte di quelle istituzioni sovranazionali che dovrebbero garantire a tutti un processo giusto, non politico e nemmeno emotivo (non è facile, se ti occupi di genocidio, crimini contro l’umanità, di guerra e di aggressione). Il primo problema riguarda la difficoltà delle indagini: i giudici della Corte dell’Aia fanno un lavoro che è a metà tra l’investigazione e la diplomazia. Proprio lunedì è iniziato il processo contro Ali Kushayb, il leader della milizia Janjaweed, accusato di aver sostenuto il governo sudanese contro i gruppi ribelli del Darfur e di aver compiuto crimini contro l’umanità e crimini di guerra. I fatti risalgono al 2004 – poco meno di vent’anni fa. C’è poi un’altra questione: i processi e le indagini della Corte dell’Aia sono stati più volte politicizzati, e l’istituzione è finita spesso in scandali che hanno depotenziato la sua immagine indipendente e imparziale (l’ultimo nel 2007).

  

L’ultimo problema, che riguarda direttamente la diplomazia internazionale, è che la Corte nasce ufficialmente con lo Statuto di Roma del 1998 – un trattato mai ratificato né dalla Russia né formalmente dall’Ucraina, che però di recente ha accettato la sua giurisdizione. Negli ultimi anni l’esistenza stessa di certe regole sovranazionali, di convivenza pacifica tra paesi ed economie è stata sistematicamente messa in dubbio dai paesi autoritari e dai governi più populisti. Nel settembre del 2018, l’Amministrazione Trump minacciò sanzioni contro la Corte se avesse iniziato un’indagine sui presunti crimini americani in Afghanistan, e nel 2020, all’inizio della pandemia, la Cina si è opposta a una indagine internazionale indipendente sull’origine del virus mettendo sanzioni contro l’Australia che l’aveva proposta. Nel 2016 un tribunale internazionale appoggiato dall’Onu e con sede all’Aia ha dato torto alla Cina nelle sue rivendicazioni territoriali nel Mar cinese meridionale. A Pechino è bastato rispondere: non riconosco questo tribunale. A Mosca basterà dire: non riconosco quel tribunale. Un altro modo per processare le forze armate russe sarebbe un diretto avvio del procedimento da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove però Russia e Cina hanno diritto di veto. È difficile sperare che la Corte penale dell’Aia faccia giustizia per i crimini commessi dalla Russia in Ucraina: il nuovo ordine mondiale degli autocrati ha già riscritto le regole della giustizia internazionale.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.