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Agenda Nato 2030: la Cina diventa “una sfida sistemica”

David Carretta

La Russia rimane la priorità, ma Biden rassicura gli altri leader e sposta il focus dell’Alleanza un po’ più a oriente. I fronti tra gli alleati

Dopo aver resuscitato il G7, Joe Biden ha rianimato anche la Nato. Dichiarata in stato di “morte cerebrale” dal presidente francese, Emmanuel Macron, due anni fa, l’Alleanza atlantica ha adottato la sua agenda per il 2030, lanciando i lavori per elaborare un nuovo concetto strategico da approvare nel 2022. Le priorità dovrebbero essere rimodulate sulle nuove minacce, con aumento della spesa in capacità militari, civili e di infrastruttura strategica. Durante il summit di oggi il presidente americano Biden ha rassicurato sulla garanzia di sicurezza di Washington, messa in discussione dal suo predecessore Donald Trump. “La Nato è criticamente importante per gli interessi degli Stati Uniti”, ha detto il capo della Casa Bianca: l’articolo 5 della Carta atlantica sulla difesa reciproca è un “obbligo sacro”. E, nonostante tutte le reticenze degli europei a entrare in una nuova Guerra fredda con la Cina, Biden è riuscito anche a spostare la proiezione dell’Alleanza un po’ più a oriente. La Cina non prende il posto della Russia come principale minaccia. Il comunicato finale di quaranta pagine del summit dedica diversi paragrafi alle attività militari e ibride russe ostili alla Nato e ai suoi partner. Ma “le ambizioni dichiarate e il comportamento assertivo della Cina” vengono riconosciuti per la prima volta come “sfide sistemiche” per la “sicurezza dell’Alleanza”. 

 

Il fatto che la Cina sia menzionata come “sfida sistemica” nelle conclusioni del summit non era scontato. Gli Stati Uniti avrebbero voluto usare l’espressione “minaccia”. Germania e Francia si sono opposte. La scorsa settimana, Macron aveva liquidato con una battuta la questione cinese per la Nato: “Per me, la Cina non è parte della geografia atlantica, o forse la mia mappa ha un problema”. Al coro  si sono uniti anche Viktor Orbán e Boris Johnson. “Ho trascorso 26 anni della mia vita nella Guerra fredda. Non fatelo!”, ha detto l’ungherese. “Non penso che qualcuno attorno al tavolo voglia entrare in una nuova Guerra fredda con la Cina”, ha spiegato il britannico. Solo che la Cina non è un paese geograficamente lontano, che si limita a usare armi convenzionali per piccoli conflitti nella regione Indo-Pacifica. Quel che alcuni leader europei sottovalutano è quanto sia già presente con le sue attività ostili ai confini e all’interno della Nato. Lo ha ricordato Justin Trudeau: “La Cina si sta scontrando sempre di più contro la Nato,  in Africa, nel Mediterraneo o più in particolare nell’Artico”. Anche Mario Draghi è favorevole a proiettare l’Alleanza più a est (e più a sud): “Dovremmo guardare a tutte le direzioni strategiche, dalla regione Indo-Pacifica a un focus costante sull’instabilità della regione mediterranea”.

 

La sintesi è toccata al segretario generale della Nato. “La Cina si sta avvicinando a noi”, ha avvertito Jens Stoltenberg: “Lo vediamo nel cyberspazio, lo vediamo in Africa e nell’Artico. Vediamo anche che la Cina sta investendo pesantemente nelle nostre infrastrutture critiche e che sta cercando di controllarle”. Pechino sta anche investendo massicciamente “in nuove capacità militari, incluse capacità nucleari e sistemi di armamenti più avanzati”. Per Stoltenberg , “la Cina non è il nostro avversario o nemico”, ma è necessario “affrontare come alleanza le sfide che pone alla nostra sicurezza”. 
 

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