Orbán vuole fondare un partito sovranista europeo. E chiama Salvini

Dopo l'addio al Ppe, il primo ministro ungherese incontrerà Lega e Pis per discutere della creazione di una nuova forza nazionalista. Il cammino tortuoso del Carroccio, diviso tra normalizzazione europeista e spinte populiste

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán incontrerà Matteo Salvini e il premier polacco Mateusz Morawiecki (che appartiene al Pis, il partito "Diritto e Giustizia" di Jaroslaw Kaczyński) per discutere la creazione di un nuovo partito nazionalista europeo. Orbán ha parlato del suo progetto alla radio di stato questa mattina, venerdì 19 marzo. A inizio marzo, il partito Fidesz del primo ministro ungherese Viktor Orbán aver lasciato il gruppo dei popolari al Parlamento europeo. Ieri ha annunciato l'uscita anche dal partito del Ppe. Fidesz era già sospeso a seguito della deriva autoritaria del governo di Orbán in Ungheria. “È tempo di dire addio”, ha scritto su Twitter il ministro per la Famiglia, Katalin Noval, pubblicando la lettera indirizzata al segretario generale del Ppe, Antonio Lopez-Isturiz White, per notificare la decisione di dimettersi dal partito. Cosa significativa, la lettera non è stata inviata al presidente del Ppe, Donald Tusk, che aveva adottato posizioni sempre più dure contro Orbán e auspicava l'espulsione. “Fidesz ha lasciato la democrazia cristiana. In realtà, l'aveva lasciata molti anni fa”, ha commentato Tusk. In un comunicato il partito del Ppe ha detto di aver ricevuto la lettera di dimissioni: “Secondo l'articolo 9 dello statuto del partito, questo pone automaticamente fine all'appartenenza di Fidesz al Ppe”.

 

La schizofrenia della Lega, divisa tra europeisti e sovranisti

La rottura di Orbán col Ppe ha rimescolato anche i destini della Lega, che ha visto la sua strada verso il Ppe farsi più tortuosa. "Se Orbán esce, per noi sarà più facile essere accolti", ripeteva Giancarlo Giorgetti nelle scorse settimane, indicando nell'approdo tra i popolari l'obiettivo strategico fondamentale di una Lega che proprio per questa ragione doveva assolutamente entrare nel governo guidato da Mario Draghi: per accreditarsi come forza responsabile agli occhi delle cancellerie europee. "Anche perché - spiegava l'allora responsabile Esteri del partito, prima di diventare ministro dello Sviluppo - con l'uscita dei dodici esponenti di Fidesz il Ppe avrà interesse a rafforzarsi in vista del rinnovo delle cariche all'inizio dell'anno prossimo", che vengono assegnate col metodo proporzionale del D'Hondt (in sintesi: più pesi, più conti). 

E però, i modi e i tempi con cui la frattura è arrivata, paiono in realtà complicare i giochi. Innanzitutto perché l'uscita di Orbán arriva in seguito a una modifica del regolamento interno al Ppe che, tra le altre cose, rende più stringenti i requisiti d'ingresso per gli aspiranti nuovi membri. E in secondo luogo, perché le ragioni politiche alla base di questa svolta sembrano contraddire i ragionamenti degli strateghi del Carroccio. Perché è proprio in virtù dell'aspirazione di promuovere Manfred Weber a presidente del Parlamento europeo che il Ppe ha accelerato sulla sospensione di Fidesz. Per essere eletto, il leader tedesco ha bisogno dell'appoggio di socialisti e liberali: e per ottenerlo, cerca di allontanare da sé le ombre di vicinanze sconvenienti. Per questo Orbán non è più gradito. E per questa stessa ragione, salvo stravolgimenti improbabili, neppure Matteo Salvini potrà essere, nel breve periodo. Tanto più che Salvini, come prima reazione agli eventi di inizio marzo, ha pensato bene di rendere pubblico il suo scambio di carinerie col leader appena defenestrato. Gli ha ribadito "amicizia e vicinanza con il popolo ungherese", fanno sapere dal suo staff. E questo certo non aiuta, nelle trattative col Ppe.

    

  

Già il mese scorso, tuttavia, al Parlamento europeo la Lega aveva detto sì al Recovery plan. Un cambio di posizione, dopo essersi astenuti in commissione, che aveva aperto grosse crepe nel fronte sovranista a Bruxelles, con AfD e Rassemblement national. Un passo del Carroccio per cercare di entrare nell’establishment dell’Ue. Ma la strada per una riabilitazione europea appare ancora lunga. La porta di ingresso del Partito popolare europeo rimane sbarrata con Salvini alla testa del partito. “Non bastano un paio di voti per diventare all’improvviso europeisti”, spiegava al Foglio una fonte del Ppe: “Salvini in questi anni si è dimostrato totalmente inaffidabile. Noi abbiamo bisogno di interlocutori nel centrodestra in Italia perché Forza Italia sta scomparendo. Nella Lega ci sono dirigenti pragmatici come Giancarlo Giorgetti. Ma con Salvini per ora è impossibile”.

 

   

Già la scorsa settimana si parlava di un possibile nuovo gruppo sovranista col Carroccio insieme al PiS e a Fidesz. Le difficoltà non sarebbero mancate: intanto perché i polacchi di Kaczyński, gelosi della loro superiorità numerica nella componente dei Conservatori e riformisti, non gradirebbero affatto di finire in una sorta di confederazione nazionalista dove resterebbero nell’ombra di italiani e ungheresi. E poi perché, stando ai regolamenti di Bruxelles, far nascere dal nulla, a metà legislatura, un nuovo gruppo non è affatto semplice.

 

Solitudini sovraniste

E allora ecco la necessità di federare i sovranisti in Europa, creando un partito nuovo. Anche perché i numeri non sono positivi per i nazionalisti, ungheresi in primis. Il Ppe ha perso dodici deputati ungheresi, ma senza conseguenze negative sugli equilibri interni al Parlamento europeo, dove rimane la prima forza davanti ai socialisti. Semmai la famiglia popolare si è liberata dal suo più grande peso, quello di un capo di stato e di governo che da anni sfida apertamente l'Ue, le sue regole e i suoi valori fondamentali. L'addio di Orbán rischia invece  di trasformarsi in un boomerang che gli potrebbe fare perdere influenza e protezione nell'Ue. Il primo ministro ungherese sarà isolato in Europa al pari del Partito Legge e Giustizia (PiS) polacco: più esposto a procedure di infrazione e, in prospettiva, alla possibilità di vedersi sospendere il diritto di voto in seno al Consiglio per le violazioni sistematiche allo stato di diritto. Anche per questo sta cercando di stabilire un legame nuovo con le forze sovraniste di Morawiecki e Salvini: unirsi in modo da aumentare la propria forza d'urto.

 

Del resto, si sa, bisogna fare attenzione a giocare col fuoco. La scelta sovranista di paesi come l’Ungheria o la Polonia o (naturalmente) la Gran Bretagna è piena di contraddizioni e di effetti autopunitivi, per non parlare dei costi di queste operazioni malamente definite “populiste” – il popolo non ci guadagna niente, anzi.