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L'appuntamento sfiduciato del Venezuela con il voto per rinnovare l'Assemblea nazionale

La recessione continua ormai da sette anni di fila, a fine 2020 la ulteriore caduta sarà di un altro 30 per cento

Maurizio Stefanini

“Chi non vota, non  mangia”, minaccia il numero due del regime Diosdado Cabello. Le promesse di Maduro a cui nessuno crede, l'opposizione inconcludente e un boicotaggio che vuole essere una richiesta d'aiuto alla comunità internazionale

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“Se vince di nuovo l’opposizione, lascio la presidenza”, promette Nicolás Maduro. “Chi non vota, non  mangia”, minaccia il numero due del regime Diosdado Cabello. Una carota e un bastone che illustrano il quadro in cui domenica 6 dicembre 2020 il Venezuela va alle urne. In realtà si vota solo per l’Assemblea Nazionale. Una vittoria dell’opposizione non obbligherebbe il presidente a dimettersi, ma siccome una maggioranza qualificata può votare la censura ai membri del governo obbligherebbe per lo meno a nominare d’accordo con i deputati quel vicepresidente che è di fatto un primo ministro alla francese. Quando però il 6 dicembre del 2015 la Tavola della Unità Democratica (Mud) si aggiudicò 112 dei 167 deputati non solo  Maduro non sentì il bisogno morale di dimettersi. Invece di trattare con i vincitori convocò a Natale l’Assemblea per far nominare, in violazione di vari requisiti, quel nuovo Tribunale Supremo di Giustizia di fedelissimi che prima avrebbe tolto i poteri al parlamento ostile; poi lo avrebbe addirittura autorizzato a eleggere come anti-parlamento una Costituente che in realtà non fatto neanche una modifica costituzionale.     

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“Se vince di nuovo l’opposizione, lascio la presidenza”, promette Nicolás Maduro. “Chi non vota, non  mangia”, minaccia il numero due del regime Diosdado Cabello. Una carota e un bastone che illustrano il quadro in cui domenica 6 dicembre 2020 il Venezuela va alle urne. In realtà si vota solo per l’Assemblea Nazionale. Una vittoria dell’opposizione non obbligherebbe il presidente a dimettersi, ma siccome una maggioranza qualificata può votare la censura ai membri del governo obbligherebbe per lo meno a nominare d’accordo con i deputati quel vicepresidente che è di fatto un primo ministro alla francese. Quando però il 6 dicembre del 2015 la Tavola della Unità Democratica (Mud) si aggiudicò 112 dei 167 deputati non solo  Maduro non sentì il bisogno morale di dimettersi. Invece di trattare con i vincitori convocò a Natale l’Assemblea per far nominare, in violazione di vari requisiti, quel nuovo Tribunale Supremo di Giustizia di fedelissimi che prima avrebbe tolto i poteri al parlamento ostile; poi lo avrebbe addirittura autorizzato a eleggere come anti-parlamento una Costituente che in realtà non fatto neanche una modifica costituzionale.     

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Da ciò la crisi che ha infine indotto la Assemblea Nazionale a proclamare il proprio presidente Juan Guaidó capo dello stato ad interim. Anche una sessantina di paesi lo riconoscono come tale, oltre a Osa e Gruppo di Lima.  Il presidente russo, Vladimir Putin, invece è tra chi riconosce Maduro, ma lo ha avvertito che se non fosse riuscito a risolvere il problema non avrebbe potuto dare il via libera ad alcuni investimenti russi in Venezuela. Maduro ha allora comprato alcuni eletti dell’opposizione che hanno eletto una presidenza alternativa, mentre alla maggioranza dei membri dell’Assemblea Nazionale veniva impedito di entrare nell’edificio.  Ma Guaidó è stato ratificato un un’altra sede, evidenziando che la presidenza alternativa non aveva il numero legale. Insomma, queste elezioni sarebbero finalmente il modo per rimettere a posto le cose. In realtà, già il fatto che i membri del Consiglio Nazionale Elettorale non sono stati nominati dall’Assemblea Nazionale ma dal Tsj basterebbe a far dichiarare il voto non valido. Ma a parte ciò lo stesso Tsj ha fatto una serie di colpi di mano per togliere la titolarità dei partiti di opposizione alle loro dirigenze. Il trucco consiste nel montare un gruppetto di dissidenti che contesta il meccanismo di gestione di un partito. Un tribunale di regime dà loro ragione e sfila il partito ai suoi leader, che non possono così presentarsi.

 

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Così è successo per esempio esempio anche a Azione Democratica e al Copei: i due storici partiti socialdemocratico e democristiano che si alternarono al governo del Venezuela della Quarta Repubblica, e che stanno in una Alleanza Democratica che partecipa al voto. “Intervenute” allo stesso modo la dirigenza del partito stesso di Guaidó Volontà Popolare e anche quella di Primero Justicia, il partito del candidato presidenziale de 2012 e 2013 Henrique Capriles. Stanno in un’altra lista collaborazionista che si chiama Venezuela Unida. Non solo Stati Uniti, Unione Europea, Osa e Conferenza Episcopale considerano il voto illegittimo. Perfino la Conferencia de Partidos Políticos de América Latina, storica organizzazione di partiti di sinistra, ha deciso di non mandare osservatori. Malgrado ciò Capriles aveva pensato di partecipare, rompendo con Guaidó, e in cambio della liberazione di alcuni detenuti politici. Ma ci ha ripensato, quando una sua richiesta di rinvio del voto a marzo è stata respinta. Guaidó inoltre è criticato anche da Corina Machado, secondo cui ha sbagliato a non formare un vero e proprio governo per richiedere formalmente un intervento internazionale. E le polemiche interne hanno indebolito l’opposizione, i cui leader però nei sondaggi continuano a essere più popolari del presidente. Guaidó starebbe infatti al 27 per cento, Corina Machado al 21, Lepoldo López al 16,2, Capriles e Maduro sul 14. 

 

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Per quanto l’opposizione possa infatti apparire inconcludente, il governo non riesce a offrire altre prospettive se non carestie e repressione. La recessione continua ormai da sette anni di fila, a fine 2020 la ulteriore caduta sarà di un altro 30 per centosecondo l’Unicef il 23,9 per cento delle donne incinte assistite in Venezuela a ottobre e il 25,5 per cento delle adolescenti presentavano segni di denutrizione. Tra i bambini, la denutrizione arriverebbe al 52 per cento, con almeno 100.000 casi gravi sotto i 5 anni. Pure l’Unicef a luglio ha segnalato 3,2 milioni di bambini che in Venezuela hanno necessità di assistenza umanitaria, e 1,3 milioni con limitazioni di accesso al sistema educativo.  Per il collasso del sistema sanitario la malaria è arrivata a 400.000 casi e a un migliaio di morti, e ci sono gravi focolai di difterite e morbillo. E 4,5 milioni di venezuelani sono fuggiti all’estero.  Un rapporto dell’Osa ha appena denunciato che dal 2014 in Venezuela ci sono state 18.093 uccisioni extragiudiziali; 15.501 detenzioni arbitrarie; 653 casi di tortura, 724 desaparecidos. La minaccia di Cabello di far morire di fame chi parteciperà al boicottaggio del voto è stata seguita dall’arresto di Fortunato Albarán: un vecchietto di 103 anni, che nel municipio Pedraza dello Stato di Barinas aveva fatto propaganda per il non voto. “A me che possono ormai fare?”, aveva detto.

 

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Il boicottaggio, sostenuto da 37 partiti e organizzazioni e anche dalla chiesa cattolica, è accompagnato a una consulta popolare autogestita che si terrà dal 7 al 12 dicembre, con l’obiettivo di dare un mandato alla vecchia Assemblea Nazionale per proclamarsi in proroga. Rappresentante della Assemblea in Italia, la deputata Mariela Magallanes spiega al Foglio che “la Consulta si basa sull’articolo 70 della Costituzione. Tre sono le domande. Con la prima si chiede la fine della usurpazione della presidenza da parte di Nicolás Maduro e la convocazione di elezioni presidenziali e parlamentari libere, giuste e verificabili. Con la seconda si rifiuta l’evento del 6 dicembre organizzato dal regime di Nicolás Maduro e si sollecita la comunità internazionale a non riconoscerlo. Con la terza si sollecita a svolgere le pratiche necessarie di fronte alla comunità internazionale per attivare la cooperazione, accompagnamento e assistenza che permettano di salvare la nostra democrazia, provvedere alla crisi umanitaria e proteggere il popolo dai crimini di lesa umanità”. Una richiesta di intervento internazionale? “Una richiesta alla comunità internazionale di intervenire in difesa del popolo venezuelano”. 

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