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Ormai c’è una guerra non dichiarata nel Mar cinese meridionale

La tensione creata dalle rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar cinese meridionale potrebbero portare a una guerra. Lo ha detto ieri il vicesegretario di stato americano, Tony Blinken, in visita a Jakarta. E il mezzo scoop della Cnn non fa che corroborare la versione di Blinken.
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La tensione creata dalle rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar cinese meridionale potrebbero portare a una guerra. Lo ha detto ieri il vicesegretario di stato americano, Tony Blinken, in visita a Jakarta. E il mezzo scoop della Cnn non fa che corroborare la versione di Blinken. Ieri la marina militare americana ha fatto alzare in volo un P8-A Poseidon, un gioiello della Boeing usato per il pattugliamento marittimo e già impiegato anche per le ricerche dell’aereo malesiano scomparso. Jim Sciutto, giornalista che si occupa di sicurezza nazionale per la Cnn, era a bordo. Destinazione? Il sorvolo dell’arcipelago delle isole Spratly, ovvero quell’area del Mar cinese meridionale costituita da pochi isolotti e atolli al centro di una decennale contesa territoriale soprattutto tra Vietnam, Filippine e Cina (la storia l'avevamo scritta qui una settimana fa, quando il segretario alla Difesa di Washington, Ashton Carter, aveva fatto capire di essere pronto a considerare l’ipotesi di un pattugliamento militare americano delle zone d’interesse strategico nel Mar cinese meridionale).

 

Ormai la Cina è stabilmente al lavoro nell’area e alcune foto pubblicate due giorni fa dal quotidiano vietnamita Thanh Nien dimostrano la presenza di edifici bianchi, molto grandi, visibili da una ventina di chilometri di distanza. In due anni, la Cina avrebbe allargato le isole di otto chilometri quadrati. E secondo l’analisi delle immagini, non ci sarebbero solo trivelle, ma anche una base militare, con porti e piste di atterraggio per aerei. Quando il P8-A Poseidon ieri è arrivato sull’area rivendicata dalla Cina, è arrivato anche il segnale: “Qui è la Marina cinese. State entrando nel nostro spazio aereo militare. Allontanatevi immediatamente”. L’avviso è stato ripetuto per ben otto volte, fino all’ultimo, disperato: “Andatevene!”. E’ la prima volta che il Pentagono permette a un giornalista di diffondere audio e video di questo genere, e l’obiettivo è abbastanza chiaro: dimostrare che la Cina è una minaccia per la stabilità e la pace nel Mar cinese meridionale.

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“Una delle conseguenze di non affrontare le dispute territoriali in modo diplomatico e multilateralmente, è che è difficile farsi degli amici o degli alleati così”, ha detto Ash Carter all’Ap all’inizio di aprile: “L’America invece ha un sacco di amici, alleati e partner in quella zona del mondo”. E infatti dallo scorso anno nel Mar cinese meridionale, ospite del Vietnam, c’è anche Eni. La presenza fa parte del piano di espansione strategico di Claudio Descalzi (e iniziato da Paolo Scaroni) in Asia. Descalzi dell’ottobre del 2014 ha firmato con Do Van Hau, ceo della PetroVietnam, un accordo settennale per l’esplorazione offshore di due blocchi, il numero 116 e il 124. Si tratta di undicimila chilometri quadrati al largo delle coste del Vietnam, ma più a sud della zona ad alta tensione. E infatti da Eni fanno sapere che la situazione per l’azienda italiana è molto tranquilla. Anzi, nonostante gli alti costi dell’offshore e il prezzo del petrolio ancora troppo basso, Eni in quella zona ha innescato il circolo virtuoso già sperimentato in alcuni paesi africani: il governo di Hanoi guadagna dalle royalty pagate per la ricerca e lo sfruttamento delle piattaforme, i vietnamiti vengono coinvolti perché impiegati come forza lavoro. Funziona così il libero mercato. Ma la Cina ha ancora qualche problema ad ammetterlo.

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