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In Russia il 2023 inizia con il crollo delle entrate da gas e petrolio

Luciano Capone

Ricavi da idrocarburi quasi dimezzati (-46%), uscite in forte aumento (+59%) e deficit record: 25 miliardi di dollari. Le sanzioni occidentali fanno crollare le quotazioni del petrolio degli Urali e Mosca vende molto meno metano: il 2023 inizia con un cambio di scenario per il Cremlino

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Qualcosa sta cambiando nell’economia della Russia. Secondo le stime preliminari del ministero delle Finanze russo, a gennaio le entrate del bilancio sono diminuite del 35% rispetto al 2022, mentre le uscite sono aumentate del 59%. Il deficit è pari a circa 25 miliardi di dollari: il peggior inizio d’anno dal 1998. Il crollo riguarda soprattutto i ricavi da petrolio e gas, che sono diminuiti anno su anno del 46%. L’esplosione delle spese, secondo il ministero delle Finanze russo, è dovuta “alla rapida conclusione dei contratti e al finanziamento anticipato di alcune spese contrattualizzate”. Una formula vaga e fumosa, ma non si può non ritenere che ci sia un impatto notevole rispetto all’anno scorso delle spese militari per finanziare la guerra in Ucraina.

 

I dati negativi riguardano tutte le fonti di gettito, dato che le entrate non energetiche sono diminuite del 28% rispetto a gennaio 2022, principalmente per un calo del gettito Iva anche se il governo dice che la causa è dovuta non solo a una contrazione dell’attività economica ma anche a una rimodulazione dell’imposta. Ma il dato più rilevante, e preoccupante, per la Russia riguarda il crollo delle entrate dagli idrocarburi, da sempre la principale fonte di finanziamento dello stato. I ricavi da petrolio e gas si sono in pratica dimezzati, passando da 795 miliardi di rubli a gennaio 2022 a 426 miliardi nel 2023 (-46%), e le cause – sempre secondo il ministero guidato da Anton Siluanov – sono essenzialmente "il calo delle quotazioni del petrolio degli Urali e la diminuzione delle esportazioni di gas naturale".

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L’ammissione del governo russo mostra da un lato quanto si stiano mostrando efficaci le sanzioni occidentali sul petrolio (e i suoi derivati), dall’altro quanto si sia dimostrato controproducente il ricatto all’Europa di Vladimir Putin sul gas. Perché il calo del prezzo del greggio degli Urali è sicuramente una conseguenza dell’embargo europeo e del price cap del G7, che ha ridotto il mercato di Mosca costringendola a vendere a sconto. Secondo i dati del ministero delle Finanze russo, il prezzo medio del petrolio degli Urali a gennaio 2023 è stato di 49,5 dollari al barile, che è oltre il 40% in meno rispetto agli 85,6 dollari di gennaio 2022.

 

Ma ciò che è sorprendente, e che misura l’efficacia delle sanzioni occidentali, è la differenza rispetto al Brent che ora costa oltre 80 dollari al barile: uno scarto di oltre 30 dollari. A gennaio 2022, prima dell’invasione dell’Ucraina, questo spread era quasi inesistente (1-2 dollari). L’Occidente, quindi, è riuscito ad abbattere il valore del petrolio russo senza far impennare i prezzi globali: i due obiettivi di embargo e price cap sono al momento raggiunti. Dal lato del Cremlino, invece, il taglio quasi totale delle forniture di gas all’Europa – dopo la fase di esplosione dei prezzi di quest’estate – ha provocato un crollo delle entrare per la Russia (e la perdita ormai definitiva del suo principale mercato), senza però riuscire a infliggere danni importanti all’economia europea: il prezzo del gas è ormai sceso sotto i 60 euro/MWh e la recessione pare evitata.

 

Questi dati preliminari segnalano però anche un cambio di scenario per la Russia. Perché se nel 2022 le sanzioni riguardavano principalmente le importazioni e Mosca ha potuto beneficiare del boom di entrate dall’export di gas e petrolio che le ha garantito un enorme avanzo commerciale, il 2023 inizia con l’impatto di sanzioni che colpiscono l’export e – quindi la principale fonte di entrate per il Cremlino (da febbraio le sanzioni si allargano ai prodotti petroliferi) – e con un ampio deficit di bilancio che rende più complicato finanziare le spese crescenti e controllare l’inflazione senza adottare misure di austerity.

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