Putin ha sbagliato i suoi calcoli sull'energia. Un caldo autunno per l'Europa

Luciano Capone

I prezzi del gas e del petrolio sono scesi ai livelli pre guerra. L'Europa è stata brava a diversificare le fonti e a ridurre i consumi, ma anche fortunata per il clima eccezionalmente mite. Il presidente russo puntava sul Generale Inverno, ma ha disertato

A settembre, quando dopo una “manutenzione” Mosca comunicò l’interruzione totale delle forniture di gas attraverso il Nord Stream “a tempo indefinito”, in Russia impacchettarono uno spot televisivo dal titolo “L’inverno sarà lungo e gelido” che mostrava operai di Gazprom intenti a chiudere i rubinetti del gas e le città europee buie e fredde. Quello scenario apocalittico appariva reale, o quantomeno possibile, a tutti. Sia a Vladimir Putin, che puntava a smantellare il fronte pro Ucraina separando l’Europa dagli Stati Uniti, i paesi europei tra di loro e le società europee dai loro governi, sia all’Occidente che già immaginava un “autunno caldo” dovuto a tensioni sociali e scioperi a contro l’inflazione, la chiusura delle aziende, l’aumento della disoccupazione e della povertà...

 

Il prezzo del gas, che ad agosto aveva superato i 300 euro/MWh, a inizio settembre dopo l’annuncio della chiusura del Nord Stream era di nuovo salito da 210 a 245 euro/MWh. E tutto faceva temere che sarebbe restato a quei livelli, se non sopra, per tutto l’inverno. Un mese prima, a inizio luglio, quando il prezzo del petrolio era a 110 dollari, JP Morgan avvisava che l’introduzione del price cap sul petrolio russo annunciato per dicembre dal G7 avrebbe potuto spingere la Russia a tagliare la produzione: una ritorsione che avrebbe fatto schizzare il petrolio al prezzo stratosferico di 380 dollari al barile. La recessione non solo era assicurata, ma sarebbe stata devastante, probabilmente con un collasso politico oltre che economico.

 

Le cose stanno andando molto diversamente. Il prezzo del gas e del petrolio sono scesi a livelli pre guerra, rispettivamente 75 euro/MWh e 85 dollari al barile. La recessione è rinviata, l’industria regge e l’occupazione è a livelli record. Nel 2022 il pil dell’Unione europea è cresciuto del 3,4 per cento e nel 2023 crescerà dello 0,3 per cento. L’Italia, pur essendo un paese fortemente dipendente dal gas russo, va meglio dell’Europa: più 3,9 per cento nel 2022 e più 0,4 per cento nel 2023, secondo l’Istat. C’è stato qualche sciopero e un po’ di malcontento per l’inflazione e per gli aiuti insufficienti del governo, ma l’autunno è stato caldo solo per le temperature.

 

Tutto sta andando per il verso giusto, per meriti e anche per un po’ di fortuna. La politica sugli stoccaggi, la diversificazione dei fornitori, la sorprendente elasticità di domanda del gas di imprese e famiglie che si pensava rigidissima, il rallentamento della Cina e, soprattutto, la stagione straordinariamente calda hanno abbattuto prezzi e consumi: da agosto a novembre l’Ue ha consumato il 20,1 per cento in meno di gas rispetto alla media dello stesso periodo tra il 2017 e il 2021. L’embargo europeo e il price cap del G7 non hanno fatto schizzare il prezzo globale del petrolio, ma hanno abbattuto quello del greggio russo. E così la Russia, a inverno appena iniziato, si è detta disponibile tramite il vice-primo ministro Alexander Novak a far ripartire le forniture verso l’Europa attraverso il gasdotto Yamal.

 

Il Cremlino ha ora bisogno dei soldi europei più di quanto l’Europa abbia bisogno del gas russo. Siamo stati bravi, ma una grossa mano l’ha dato il clima eccezionalmente mite. Per piegare l’Europa e quindi l’Ucraina Putin puntava sul Generale Inverno, ma stavolta ha disertato.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali