Virginia Raggi (foto LaPresse)

Incapaci, ma onesti. Unni, ma probi. Lanzichenecchi, ma immacolati. Grillo, Virginia e lo stadio della Roma

Salvatore Merlo

Buona fede, dedizione, mani pulite, sono le sole cose che contano. Le conseguenze, i fatti – uno stadio irraggiungibile, un pasticcio insensato – servono solo a giudicare i nemici

Poiché volevano evitare una “colata di cemento”, hanno segato dei modernissimi grattacieli, che sono l’ambizione e l’orgoglio di Londra e di Dubai, ma anche di Milano, e li hanno sostituiti con una sfilza di palazzine orizzontali, color pidocchio, che sono invece il povero arredo urbano di Mogadiscio e di Kabul, ma anche della periferia di Roma. E così, di fronte agli occhi increduli dei costruttori, evidentemente felici di poter risparmiare, hanno cancellato anche il prolungamento della metropolitana, la riqualificazione della stazione di Magliana, lo svincolo dell’autostrada Roma-Fiumicino, quello dell’autostrada 91, il ponte carrabile sul Tevere, il viadotto, il potenziamento della ferrovia Roma-Lido… Poi, mentre qualcuno già cominciava a chiedersi: bello ’sto stadio, ma come ci si arriva?, hanno preso a congratularsi gli uni con gli altri per il risultato ottenuto.

  

Sordi a ogni scetticismo, superiori a ogni ironia, hanno dato vita a uno spettacolo di allegra animazione, d’insopprimibile estro, di persona, al telefono, via WhatsApp, su Twitter, su Facebook, e sul Blog: “#Unostadiofattobene”, ha cominciato a scrivere Beppe, e poi di conseguenza anche tutti gli altri, cioè Virginia, Paolo, Alessandro, Luigi, Carlo… “Uno stadio fatto bene”, ripetuto e ritwittato, una-due-trecentovolte, seguendo quell’espediente comune alle tribù primitive, quel meccanismo studiato dagli antropologi (ma anche dagli occultisti) secondo il quale si ripete infinitamente, ossessivamente, una parola, per evocare, suscitare, rendere credibile e reale ciò che non esiste.

  

E infatti, poiché ovviamente lo stadio era tutt’altro che fatto bene, sono cominciati i problemi, i ritardi amministrativi, le dimissioni degli urbanisti, le obiezioni tecniche, le mani nei capelli, gli sbiancamenti e gli svenimenti, fino all’altro ieri, quando il ministero dei Trasporti ha ripetuto quello che tutti sanno e che tutti dicono: ci sono, per così dire, dei problemi di mobilità. Ovvero, non si sa come caspita arrivare in questo benedetto stadio della Roma, che forse non si farà mai. Così loro, evidentemente mossi da impulsi di cui nulla sa il politologo (ma forse l’enologo, sì) hanno risposto in questa maniera: “Avete visto? Il Pd è contro lo stadio”.

 

Come se gli uffici tecnici del ministero dei Trasporti fossero la sezione Renzi, il circolo Orfini, il centro sociale Delrio o l’Arci Franceschini. E insomma i Cinque stelle buttano all’aria viadotti, metropolitane, svincoli autostradali, interi ponti, dilapidano un progetto con sciocchezze ideologiche, operano in base a previsioni e orientamenti puntualmente smentiti dai fatti, si mettono pure nelle mani di specialisti del tutto cervellotici, e alla fine, tra rovine fumanti da loro stessi provocate, mentre avvoltoi e sciacalli si muovono in cerchi famelici sempre più stretti, loro ripetono candidamente e meccanicamente: “E’ colpa degli altri”.

  

E sempre si coglie come una sfumatura di superiorità furbetta, nei loro imperterriti accenti, come se ci fosse del merito a ignorare la parte nera delle delle cose, cioè la realtà, o come se tutti gli altri, a cominciare dai cittadini, fossero cretini, degli imbecilli incapaci di capire, dunque naturalmente portati a credergli perché loro sono quelli virtuosi e integerrimi. Incapaci, ma onesti. Unni, ma quasi tutti probi. Lanzichenecchi, ma per lo più immacolati. Buona fede, dedizione, mani pulite, sono le sole cose che contano. Le conseguenze, i fatti, i miserabili fatti – uno stadio irraggiungibile, un pasticcio insensato – servono solo a giudicare i nemici. Che sono responsabili di tutto, anche quando stanno all’opposizione e non contano niente.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.