Il traditore di Venezia

Matteo Matzuzzi

di Giorgio Ravegnani, Laterza, 168 pp., 18 euro

Il drappo nero dipinto sul muro, nella sala del Maggior Consiglio del Palazzo ducale di Venezia, è ancora visibile. E’ posto proprio davanti allo scranno dove era solito accomodarsi il doge. “Hic est locus Marini Faletri decapitati pro criminibus”, “questo è il posto di Marino Falier, decapitato per i crimini”. Ci sono tutti, meno che lui: del doge Falier non v’è traccia, il suo ritratto è stato condannato alla dannazione perpetua otto secoli fa. A spiegare cosa accadde in quei giorni d’aprile del 1355 c’ha pensato Giorgio Ravegnani, professore ordinario di Storia medievale all’Università Ca’ Foscari. E’ la storia del più grande attentato alla sacralità delle laicissime istituzioni veneziane, la congiura ordita dal doge Falier per trasformare la città in una signoria, importando il modello di governo che reggeva anche altre città italiane. Un disegno che avrebbe cancellato la peculiarità di Venezia. Marino Falier apparteneva a una delle più illustri famiglie cittadine, percorse tutto il cursus honorum richiesto ai rampolli dell’aristocrazia. Nel 1354, quand’era già molto anziano (settant’anni), fu eletto doge. E’ qui che gli eventi prendono la piega che porterà al teatrale e drammatico epilogo, con la decapitazione del vecchio Falier sulla scalinata di Palazzo ducale, poco ore dopo essere stato condannato per tradimento. Condanna che fu eseguita, “per una sorta di simbolico contrappasso, dove, entrato in carica, aveva giurato di rispettare la costituzione della repubblica”. Quel che si sa con certezza è che il doge, subito dopo l’elezione, iniziò a studiare il piano per rovesciare la Serenissima. Fondamentale, per il successo dell’operazione, l’appoggio delle classi popolari. Quale fu la ragion che spinse l’accorto Falier a cospirare per farsi “Signore di Venezia”? E’ questo che Ravegnani indaga, usando tutte le fonti a disposizione. La versione ufficiale ne fa una questione d’onore: una vendetta del doge contro i nobili che avevano insultato sua moglie, molto più giovane di lui. Offese che le magistrature non avrebbero punito secondo giustizia. La storiografia ufficiale, oggi, respinge questa teoria, avallando invece la tesi secondo cui Falier sarebbe stato spinto da precise motivazioni politiche dettate dalle lotte intestine al patriziato veneziano. Una battaglia che l’ha visto soccombere, con tanto di sfregio postumo, con il cadavere esibito alla folla nella Sala del Piovego di Palazzo ducale. Sepolto il traditore, iniziò la caccia a tutti gli altri cospiratori: esecuzioni sommarie, confische, condanne all’esilio perpetuo. Una trama da thriller la cui soluzione non è ancora stata trovata.

 

IL TRADITORE DI VENEZIA
Giorgio Ravegnani
Laterza, 168 pp., 18 euro

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.