La malinconia dei Crusich

Gianfranco Calligarich
Bompiani, 438 pp., 20 euro

    Gianfranco Calligarich (narratore, giornalista e sceneggiatore) non ama una scrittura prolifica, ma centellinata in un arco di tempo lungo, attinente alla grande storia e ai contorni della saga famigliare che ruota intorno come un ronzio. Il romanzo “La malinconia dei Crusich” (Bompiani 2016) non è altro che una vicenda composta dall’agire di tre generazioni che si avvicendano dall’inizio del secolo scorso fino a oggi, passando per le guerre mondiali e le guerre civili. Calligarich ha riferito di proiettare sul suo schermo uomini e donne che altrimenti sarebbero rimasti anonimi. I Crusich viaggiano per mare apparentemente in una corsa scomposta e velleitaria contro il tempo. Il capostipite Luigi si ferma a Corfù, “città bianca e madreperlacea”, e sposa una ragazza lombarda. Fabbrica olio e lo esporta, mentre nascono figli “sensuali come zingari”. La scrittura di Calligarich è novecentesca, con frasi dagli effetti plastici dove le spiegazioni sono accurate come le descrizioni dei luoghi e la curatela della dizione. Il primo massacro mondiale procede nell’asse della storia personale con l’avvento del fascismo, con i manifesti e i gagliardetti inneggianti al nuovo impero, con navi da guerra, da carico e con piroscafi diretti in Africa a conquistare nuove terre. Il Canale di Suez, l’Eritrea, Asmara, le cupole arabe, le bande di Sciftà in difesa del territorio fungono da centro motore nelle sfide del sergente maggiore Agostino Crusich: undici anni in Africa, una prigionia dietro il filo spinato anche in Sudan e in Egitto dopo l’arrivo delle truppe britanniche. Quindi il ritorno a casa, prima della moglie Clementina con i figli, rocambolesco, circumnavigando l’Africa, e poi del sergente stesso, al quale rimarrà il ricordo dolceamaro dei “cieli di velluto blu”, del profumo degli eucalipti, delle palme e dei palazzi bianchi in una musica di echi, di ritorni, di oscillazioni impressionistiche. Agostino farà l’autista dei giocatori d’azzardo, mentre a Milano si incomincia a ricostruire dalle macerie dopo la ritirata dei tedeschi. Ci si lava in mastelli da bucato vicino al fuoco della stufa a legna e le giornate sono disseminate di paura per le razzie notturne. E’ il tempo in cui i reduci del secondo massacro risultano i primi nella distribuzione di commestibili, scarpe, coperte, nell’assegnazione degli alloggi. Il fratello di Agostino, Vassili, finirà nel carcere di San Vittore traboccante di migliaia di condannati, ladri e truffatori. Il tempo della ricostruzione si compie anche tra la ricerca disperata di lamette da barba, dentifrici, saponette, cerini. E’ il tempo, soprattutto, di Gino Crusich, figlio di una terza generazione che ricomincerà a viaggiare. Prima in Sicilia, poi in Puglia, ereditando l’odore della Grecia, dell’Africa, del sole che si imprime sugli occhi. Gino sopravvive con lavori saltuari, aiutando negli scavi archeologici di un sito, in bar e stabilimenti balneari, ridando vita alle barche, scartavetrando le fiancate con il catrame, facendo il falegname. Gianfranco Calligarich anima il più giovane dei Crusich nella “breve corsa verso il mare al pari di qualunque cosa apparsa fino a quel momento”. Il destino è incorniciato in un’aureola, in donne d’amore, nella fermezza di un tono impegnato, drammatico, con una scrittura elaborata che recupera tracce su tracce. L’ombra familiare dei Crusich vagheggia in cento anni ampliati negli squarci non solo temporali, in ciò che a tutti gli effetti risulta un romanzo storico di uomini chi guadagnano il mare e approdi mai definitivi.    

     

    LA MALINCONIA DEI CRUSICH
    Gianfranco Calligarich
    Bompiani, 438 pp., 20 euro