The best man

Redazione
Luca Mencacci
Rubbettino, 240 pp., 14 euro

    Le elezioni servono realmente a selezionare i cittadini migliori per rappresentare gli interessi della Nazione? Do the best man always get to the White House? Questa è la domanda cui cerca di dare una risposta ‘The Best Man’, il film diretto da Franklin J. Schaffner nel 1964 e basato su una pièce teatrale di grande successo a Broadway di Gore Vidal”. E’ uno dei tanti esempi che Fabio Mencacci fa per cercare la risposta al quesito che domina questo libro: si può leggere il cinema politico (quello di Hollywood, in tutte le epoche) in termini scientifici? Difficile da dire, anche perché – scrive nell’Introduzione – “appare del tutto controversa quanto irrisolta ogni pretesa di definire il cinema politico” e poi “lo studio scientifico della politica investe piuttosto la metodologia che non il contenuto, l’analisi che non la realtà”. Il lavoro è rigoroso, non si tratta d’una leggera carrellata di film vecchi e nuovi in cui individuare gli elementi a sostegno (o contrari) rispetto alla tesi iniziale. L’autore alla metodologia ci tiene, quindi esamina solo film prodotti a Hollywood, ovvero quelle pellicole che hanno a che fare (in tutto o in parte) con il momento elettorale, e questo perché sono immediatamente riconoscibili anche all’occhio non esperto e – fatto non trascurabile – toccano uno dei punti qualificanti il contesto democratico.
    Certo, “tale scelta può subire la facile critica di rappresentare un comodo escamotage epistemologico”, premette Mencacci, che però subito aggiunge quanto difficile sia “negare al processo elettorale una sua singolare cinematografabilità”. L’analisi parte da “State of the Union”, film diretto da Frank Capra nel 1948, “probabilmente il primo film a essere incentrato su quel momento cruciale della rappresentanza democratica declinato dalla campagna elettorale presidenziale”, quindi si prosegue con “The Last Hurrah”, pellicola del 1958 basata sull’omonimo romanzo del giornalista Edwin O’Connor, che mescola insieme tanti (troppi) temi che avevano caratterizzato come politica tale opera: conflitto generazionale, potere dell’élite finanziaria, ambiguità morali, ruolo dei media. E poi, tra gli altri, “Power”, “The Manchurian Candidate”, “Man of the Year”, “Swing vote”. Il filo della trattazione è coerente e consente anche al lettore non a suo agio con la complessa realtà della politica americana – e, soprattutto, con i suoi per noi astrusi meccanismi elettorali – di comprendere in ogni passaggio il senso di questo volume.

     

    THE BEST MAN
    Luca Mencacci
    Rubbettino, 240 pp., 14 euro