Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Appunti di Macron-economia

Redazione

Piccoli dettagli di una formula liberale che non sfigura né a destra né a sinistra

Per Marine Le Pen e per la sinistra pikettiana il programma economico di Emmanuel Macron promuove la “globalizzazione selvaggia” e la “deregolamentazione che viene da Bruxelles”, cioè arricchisce chi già è ricco e impoverisce tutti gli altri. Il progressismo liberale soffre di questa fama tremenda, per cui se dici flessibilità – e Macron lo dice, e la fa: la legge che porta il suo nome è l’unico, timido tentativo di liberalizzazione del mandato hollandiano – stai mettendo un’ipoteca sui diritti dei lavoratori: noi che abbiamo vissuto il tormento del Jobs Act che molti francesi ci invidiano sappiamo di che cosa si parla. Il leader di En Marche! promuove il rigore, e in un paese come la Francia a rischio di implosione dei conti non ci sono tante altre alternative: 120 mila posti tagliati nel settore pubblico, 75 miliardi di risparmi spalmati in un mandato a fronte di 50 miliardi di investimento, soprattutto a favore dell’imprenditoria.

 

Macron prevede anche un abbassamento delle imposte personali – in particolare togliere la tassa sulle case all’80 per cento dei francesi: costo almeno 10 miliardi di euro – e di quelle delle imprese: è il mondo del lavoro che, nella visione macroniana, dovrebbe cambiare di più. Maggiore flessibilità per negoziare le 35 ore a livello aziendale (accade già) e accesso ai sussidi di disoccupazione anche per i lavoratori autonomi. Nel rispetto delle regole europee, ché la Francia deve essere forte in un’Europa forte. Uberliberalismo? Non esattamente, ma è certo una formula che mescola libertà e solidarietà secondo una visione progressista plausibile sia a destra sia a sinistra: per fare un esempio internazionale, queste misure non sfigurerebbero in un governo Schröder, ma nemmeno in un governo May.

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