Il carcere di Guantanamo Bay (foto LaPresse)

Cosa deve fare l'Europa per dotarsi di una sua (necessaria) Guantanamo

Mario Mori

Solo quando sarà realizzata una vera unione politica degli Stati Europei saranno possibili predisposizioni del tipo di quelle rappresentate da organismi carcerari di tipo comunitario

Al direttore - Nel Foglio del 24 dicembre, Giuliano Ferrara ha parlato di tempi maturi perché anche in Europa si realizzi l’esperienza detentiva realizzata dagli Stati Uniti a Guantanamo Bay. Lo ha fatto nella convinzione che a fronte dell’attacco portatoci dai gruppi del terrore islamista, che si configura come una guerra vera e propria, sia necessario adottare un diritto speciale, quello cioè che consenta tipologie di neutralizzazione personale che esorbitino dalle forme dello “jus commune” della tradizione giuridica latina. Troppi episodi della storia recente appaiono infatti dimostrare come il nostro attuale apparato repressivo sembri quasi impotente a contrastare forme di aggressione che escano dai canoni classici a cui la nostra scuola giuridica nel tempo aveva saputo replicare con norme adeguate, ma anche rispettose dei valori fondamentali su cui si fonda la società occidentale. Dobbiamo ora tenere presente che l’attacco ci viene portato da un altro contesto umano che proviene da esperienze diverse. Siamo così compenetrati nei nostri valori da ritenerli di valenza universale, senza pensare che altre culture hanno seguito vie proprie e si trovano in momenti differenti della loro evoluzione, che poi non è detto le possa portare alle nostre attuali conclusioni.

 

Una replica possibile, e quella di Giuliano Ferrara è una di quelle potenzialmente praticabili, deve tenere conto di essere comprensibile da parte di coloro ai quali è rivolta; ma per essere tale deve essere pienamente riconoscibile per i comuni caratteri della base normativa e dell’unicità nella sua applicazione che nel tempo non deve dare luogo a interpretazioni difformi che ne possano inficiare la validità. La prigione di Guantanamo, intanto ha potuto essere realizzata in quanto una legge federale americana, valida quindi in tutti i cinquanta Stati dell’Unione, ha consentito al suo presidente di procedere alla privazione della libertà personale di molti individui sulla base di elementi investigativi in taluni casi molto labili, tanto da ricevere severe critiche anche in ambito occidentale. Tutto questo è comunque stato possibile in America, ma nelle condizioni attuali non pare realizzabile nell’Unione Europea che, nella configurazione ora raggiunta, non prevede un governo centrale con pieni poteri ma nemmeno, per quanto attiene alla sicurezza, che vi sia un organismo che in qualche modo assommi le funzioni che nei singoli Stati vengono attribuite al Ministero dell’Interno.

 

 

Non vi è poi un’organizzazione giudiziaria che applichi una normativa comune e si avvalga di uno stesso codice di rito. Ogni nazione dispone di Forze di Polizia con ordinamenti difformi e difficilmente conciliabili, perché originati da storie del tutto diverse. Infine i ventotto Stati dell’UE dispongono dell’attività di uno o più Servizi d’intelligence i cui risultati ben di rado, e solo per casi di reciproco interesse, vengono messi a fattor comune con altri. Solo quando sarà realizzata una vera unione politica degli Stati Europei saranno possibili predisposizioni del tipo di quelle rappresentate da organismi carcerari di tipo comunitario. Il problema è che i governanti ma anche i comuni cittadini europei, a parole sostengono di essere in guerra, ma poi nei loro comportamenti si regolano come se l’attacco che gli viene portato da una forma di terrorismo, che Giuliano Ferrara giustamente definisce ideologico e fideistico, sia uno dei tanti sviluppatisi nell’arco della storia che ci appartiene, espressioni comunque di vitalità sempre aderenti ai valori fondanti del nostro modo di vivere, che si esaurirà assorbito nella nostra cultura onnicomprensiva. Eppure l’Impero romano da cui traiamo le origini, nella storia l’esempio maggiore di capacità d’integrazione, ci dimostra come sia finito quando non ha avuto più la forza di aggregare ideologie o popoli che non volevano essere assimilati o conculcati.

Oggi dobbiamo fronteggiare un’aggressione, portata da una minoranza del mondo musulmano, che si configura come una guerra, in questo caso, come si dice, asimmetrica. Allo stato noi abbiamo la disponibilità di una forza di gran lunga superiore, ma non vogliamo o non sappiamo come usarla, ovvero, ancor peggio, non siamo più capaci, per ignavia, di applicarla nel concreto. In guerra, la dottrina sostiene che per vincere bisogna in ogni modo conquistare l’iniziativa e una volta raggiunta eliminare colui che ci vuole offendere. Soprattutto il nostro nemico deve sapere che a ogni attacco corrisponderà una risposta di portata e dimensioni molto maggiori. Se invece la replica sarà inefficace o addirittura nulla, dovremo subire altre e maggiori offese da parte di chi ritiene di valutare la nostra tolleranza come una pavida debolezza. La situazione politica internazionale è tale che si può considerare finito il periodo in cui gli Stati Uniti provvedevano alla difesa militare di un Europa dedita a ricostituire ed incrementare il proprio potenziale economico e industriale. La fine dei blocchi ha dato la possibilità a molti paesi di svolgere la propria politica.

 

Noi siamo attaccati da un nemico poco numeroso ma molto aggressivo, anche perché sostenuto dagli interessi di qualche nazione che mira ad indebolirci senza voler apparire. Per avere la meglio di chi ci offende occorre andare a cercarlo dove vive e renderlo inoffensivo, colpendo economicamente, e se del caso militarmente, anche chi lo sostiene e non desiste dal farlo. Dalla mancanza di una simile risposta conseguirà inevitabilmente un rapido ed inarrestabile declino. Quando poi riusciremo a realizzare l’unione dell’Europa in grado di sviluppare una politica interna ed internazionale comuni, assolveremo ai problemi della nostra difesa con meno sforzo e con maggiori risultati e potremo riprendere un posto nel consesso mondiale coerente con la nostra storia e le nostre potenzialità. 

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