E' ufficiale: non si può dire "latte di soia" (ma "hamburger di tofu" sì)

Antonio Gurrado

I giudici della Corte europea di giustizia rimettono in ordine anche il lessico (ma solo fino a un certo punto)

In un paese dove i giudici fanno i politici, dovremmo apprezzare quelli che fanno i lessicografi. La Corte di giustizia dell'Unione Europea ha sancito che non si può usare il termine “latte” per la bevanda derivata dalla soia o da qualsiasi cosa che non sia un animale che dà latte. Stabilire che la soia non è latte e che il vegetale non è animale è tutt'altro che banale, in quest'epoca in cui le parole hanno preso il sopravvento sulle cose restringendo a sparuta minoranza i sostenitori dell'ineluttabile realtà dei dati di fatto. Una vasta maggioranza ritiene invece che tutto sia malleabile a colpi di eufemismi o di travisamenti o d'incantesimi verbali.

 

Leggendo questa sorprendente buona notizia mi figuro un'estate in cui la Corte europea intervenga ogni due per tre a stabilire che non si può usare il termine “laico” per parlare di chi è ateo, né il termine “previsioni” per le fandonie dell'oroscopo, né “premier” per il presidente del consiglio, né “matrimonio” per le unioni civili, e così via raddrizzando tutto il disorientamento collettivo del novissimo italiano accordato a orecchio. Non faccio in tempo a vagheggiare un'estate di grandi soddisfazioni quando, ecco, la medesima sentenza della Corte mi rammenta che lo stesso criterio restrittivo non può essere utilizzato riguardo ai prodotti di origine vegetale succedanei di carne e pesce; allora capisco che non c'è speranza. Mi ero illuso, sarà stato il caldo.

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