Perché la lobby del biologico a Bruxelles combatte per difendere i pesticidi

Luca Gambardella

La Commissione Ue vuole vietare l'uso di prodotti chimici per i cibi che vogliono la denominazione bio. Ma la proposta sta naufragando perché gli stessi produttori dicono che rispettare l'ambiente vale la pena, ma fino a un certo punto 

Roma. Diciassette riunioni a porte chiuse nel giro di 2 anni, sotto tre presidenze diverse, non sono bastate alle istituzioni europee per proporre un testo di legge condiviso tra gli stati membri che chiarisse cosa si debba intendere per “prodotto biologico”. Il 30 giugno scadrà il termine che la Commissione, l’Europarlamento e gli stati membri si sono dati per approvare un regolamento che armonizzi la legislazione europea sull’agricoltura biologica, un settore che nell'ultimo decennio è in forte ascesa. Se nell’immaginario del consumatore medio per prodotto biologico si intende un cibo o una bevanda prodotta senza la minima contaminazione di diserbanti o altre sostanze chimiche, nella realtà le cose non sono proprio così. Quello che la legge europea impone è solamente il concetto di “produzione sostenibile”, vale a dire rispettosa dell’ambiente, della biodiversità e degli interessi dei consumatori. Ma nel regolamento del 2007 (cui sono seguite altre versioni consolidate), quello che disciplina il settore in Europa, si prevedono delle deroghe che consentono, in casi particolari, l'uso dei pesticidi. Il risultato è che oggi molti prodotti biologici in commercio presentano tracce di antiparassitari e altre sostanze chimiche. Anche per questo, nel 2014 la Commissione europea ha proposto un nuovo testo di legge per chiarire i limiti consentiti nell’uso dei pesticidi nei prodotti biologici. A motivare l’esigenza di regolamentare in modo più organico il settore c’è prima di tutto la sua crescita nel mercato negli ultimi anni. La produzione biologica è passata dai 5 milioni di ettari coltivati col metodo biologico nel 2002, a oltre 11 milioni nel 2015 e coinvolge oltre 180 mila aziende in tutta Europa, con oltre 306 mila operatori, indotto incluso. Un settore da 30 miliardi di euro all’anno. Eppure il settore in Europa è ancora troppo frammentato, con 64 standard diversi a regolare le importazioni di prodotti biologici da paesi terzi.

 

A generare l'impasse senza precedenti nel settore agricolo europeo ci sono le divergenze tra gli stati membri – l’Italia, per esempio, è tra quelli che spinge di più per una nuova regolamentazione, mentre la Germania si oppone – e le resistenze degli stessi produttori bio. Politico Europe ha pubblicato un ritratto molto duro nei confronti di Martin Häusling, eurodeputato tedesco dei Verdi, tra i principali negoziatori del nuovo testo di legge per conto del Parlamento. “Chi è il tedesco dei Verdi che vuole mantenere i pesticidi nel vostro cibo biologico”, è il titolo dell’articolo, in cui si accusa l’europarlamentare di fare resistenza e, in sostanza, di essere tra i maggiori responsabili del fallimento dei negoziati trilaterali con la Commissione e gli stati membri. Dietro a Häusling, in realtà, sembrano esserci soprattutto le lobby del biologico. Il sito EuObserver, che segue le attività legislative a Bruxelles, ha scritto che a chiedere il fallimento dei negoziati sia proprio l’organizzazione internazionale dei produttori del settore, l’Ifoam (Federazione internazionale dei movimenti per l'agricoltura biologica). “La riduzione nell’uso dei pesticidi è solo uno degli aspetti che contraddistingue il biologico. Quello che mi fa arrabbiare è che la Commissione lo abbia reso l’unico criterio”, ha detto Häusling, che considera la proposta di legge lesiva degli agricoltori e dell’ambiente.

 

Per i produttori bio, certificare con una legge il valore aggiunto dei prodotti biologici sembra valga la pena solo fino a un certo punto. Il motivo della loro opposizione al nuovo testo di legge è da ricercarsi nelle nuove imposizioni che propone la Commissione. Per impedire che i consumatori siano tratti in inganno dalle etichette che definiscono biologico un prodotto che in realtà contiene pesticidi, la bozza di legge prevede di stabilire un limite alle sostanze chimiche che si possono usare nel processo produttivo. Se quegli standard vengono superati non si potrà scrivere “biologico” sull’etichetta dell’alimento. Inoltre, la Commissione ha proposto verifiche annuali alle catene produttive delle aziende europee, imponendo anche l’uso di semi biologici e l'aggiornamento di un database che riporti i prodotti che hanno ricevuto l'approvazione. Chi contravviene, dice il testo, non riceverà la licenza. La proposta delle istituzioni europee, secondo i produttori del settore biologico che si aspettavano una semplice revisione, sembra sia andata oltre le loro attese, rivelandosi piuttosto una rivoluzione che imporrebbe costi e obblighi molto più elevati. “Noi non abbiamo mai chiesto questa riforma”, è stata l’obiezione riferita a Politico Europe di Cristopher Atkinson, capo della Soil Association britannica che riunisce i produttori del settore nel Regno Unito. Le trattative vanno avanti, ma l'avvicinarsi del termine del 30 giugno potrebbe farle cadere nel vuoto, autorizzando ancora per molto tempo tracce di pesticidi nelle insalate non troppo “biologiche”.

 


 

Dopo la pubblicazione dell'articolo, il 9 giugno 2017 il presidente di FederBio, Paolo Carnemolla, ha chiesto di pubblicare la replica che segue, con alcune considerazioni da parte della federazione italiana dell'agricoltura biologica.

 

Gentile Luca Gambardella,

 

Scriviamo in relazione all’articolo “Perché la lobby del biologico a Bruxelles combatte per difendere i pesticidi” pubblicato il 7 giugno, articolo in cui abbiamo riscontrato pesanti imprecisioni e scarsa chiarezza che può generare confusione nei lettori.

 

Lei scrive che nel regolamento europeo che disciplina il settore non si fa alcun riferimento esplicito al divieto di usare i pesticidi. Si tratta di un’affermazione quantomeno capziosa: se nel regolamento manca il didascalico “sono vietati i pesticidi chimici di sintesi” è però imposto con assoluta chiarezza un elenco ristretto delle uniche sostanze utilizzabili, nessuna delle quali è un pesticida chimico di sintesi, come può appurare chiunque. Com’è frequente nelle disposizioni di legge, il criterio non è quello della lista negativa (“non puoi usare queste sostanze”), ma quello altrettanto cristallino della lista positiva (“puoi usare solo queste sostanze”). Questo modo di raccontare all’opinione pubblica il regolamento è dunque del tutto fuorviante.

 

Venendo ai residui: nella proposta di regolamento della Commissione non è affatto indicato un “limite alle sostanze chimiche che si possono usare nel processo produttivo”: questo limite c’è già dal 1991, anno di pubblicazione del primo regolamento europeo sul biologico, ed è da allora pari a zero.

 

Quello che la Commissione intende introdurre (con la contrarietà della maggioranza delle autorità competenti degli Stati membri, più che di presunte “lobby del biologico”) è una soglia di residui di pesticidi tollerabile nei prodotti biologici. Sotto la soglia proposta (0,01 mg/kg) il prodotto sarebbe da considerare conforme, sopra a tale soglia no. Giova segnalare che tale limite è già legge in Italia dal 2011: tra le amate sponde, se l’analisi rileva un pesticida sopra il limite (giova una traduzione: 0,01 mg/kg significano 1 grammo di pesticida su 100 tonnellate di prodotto), quel prodotto non può essere etichettato come biologico. E questo nemmeno se si accerta la non intenzionalità e l’assoluta accidentalità della presenza, per la quale nessuna responsabilità sia addebitabile al produttore. Un esempio: se su del grano emerge traccia di un pesticida che sul grano non ha alcun effetto, ma lo ha sulla vite di un’azienda agricola confinante, appare evidente ai più che si tratta di un effetto di deriva di cui il produttore biologico è innocente.

 

Le autorità competenti della maggioranza dei Paesi europei, semplicemente, ritengono che non si possa penalizzare chi non si sia reso responsabile della violazione di alcuna norma. Per non banali considerazioni di certezza del diritto, la posizione prevalente, ovviamente quando si tratti di tracce che non comportano il minimo rischio per i consumatori, è di non danneggiare il produttore che le verifiche accertino estraneo a ogni responsabilità rispetto all’impiego di un prodotto vietato nella coltivazione biologica.

 

Dal 1992 l’uso dell’atrazina (il diserbante in precedenza più utilizzato dagli agricoltori convenzionali, mai entrato in un’azienda biologica) è vietato, ma la sostanza è tuttora rilevata in quasi il 10% delle acque sotterranee italiane. Nel 2003, nel corso del dibattito sulla direttiva Reach (Registration, Evaluation and Authorisation oh Chemicals) l’allora commissaria europea all’ambiente, Margot Wallstrom esibì le sue analisi del sangue, da cui emergeva la presenza di DDT (vietato in Italia dal 1969), lo stesso DDT di cui, nel “2015 European Union report on pesticide residues in food”, l’Efsa ammette sono state trovate tracce nel 10.7% dei campioni di burro (non biologico) analizzati a livello europeo.

 

Si tratta di contaminanti ambientali, la cui presenza è, purtroppo, tecnicamente inevitabile. Ne conseguono due considerazioni. La prima è che non si possono considerare i nipoti responsabili delle colpe dei nonni (o, volendo esser più corretti, non si possono considerare gli agricoltori biologici responsabili delle colpe dei nonni degli agricoltori convenzionali). La seconda è che la persistenza nell’ambiente di contaminanti il cui uso è abbandonato da decenni deve far riflettere sull’urgenza non più rinviabile di cambiar rotta, indirizzando la produzione verso un approccio sostenibile, per evitare di aggravare in modo irrimediabile le risorse ambientali.

 

L'agricoltura biologica non è una pratica luddista né una proposta pensata per consumatori immaginifici, ma una soluzione concreta e praticabile alle gravi condizioni a cui un modo sconsiderato di produrre ha ridotto l'ecosistema in cui ci muoviamo. L’agricoltura, soprattutto quella biologica, si fa all’aria aperta e in campagna e per ora le superfici coltivate al biologico sono meno del 15% dell’intera superficie agricola coltivata in Italia. Per quale motivo gli agricoltori biologici dovrebbero essere puniti se chi usa in maniera sconsiderata i pesticidi di sintesi sono gli agricoltori convenzionali?

Paolo Carnemolla

Presidente FederBio

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.