Domenico de Pasquale, in arte “Mingo”

Striscia truffata dal suo inviato. Ecco dove porta la domanda di gogna

Francesco Maselli

"Mingo" rinviato a giudizio per servizi falsi o artefatti

Roma. Domenico de Pasquale, in arte “Mingo”, l’inviato di Striscia la Notizia famoso per i suoi scoop in compagnia del suo sodale Fabio, è stato rinviato a giudizio dal tribunale di Bari per aver venduto servizi artefatti o falsi a Mediaset. Mingo avrebbe inventato scandali e truffe con l’aiuto dell’agenzia di comunicazione Mec Produzioni della quale è socio insieme con la moglie (rinviata a giudizio a sua volta), facendosi rimborsare dall’azienda anche il costo di alcune comparse necessarie alle montature.

  

Uno dei volti più noti di Striscia la Notizia, il programma dalla parte dei cittadini onesti che subiscono i danni dei politici marci, degli imprenditori corrotti, dei dipendenti assenteisti, degli avvocati truffaldini, altro non era, stando alle accuse della procura, che un furbacchione. Ma l’apologo del giustiziere accusato di essere un truffatore nasconde qualcosa di più profondo e radicato.

 

Le Iene, che basano parte del loro modello di business su servizi che fanno l’occhiolino al complottista presente in ognuno di noi – e che mettono in scena, una volta alla settimana, racconti di un’Italia distopica – hanno una lunga tradizione da questo punto di vista. Prima hanno dato credibilità al metodo Stamina, che prometteva di curare svariate malattie senza alcuna evidenza scientifica; poi hanno pompato ad arte il fenomeno “Blue Whale”, un gioco presentato come “mondiale” che avrebbe condotto decine di adolescenti al suicidio dopo un percorso di cinquanta prove, spingendo qualcuno a tentarci davvero; infine hanno inventato un pericoloso esperimento radioattivo nei laboratori del Gran Sasso, dove le attività dell’Istituto nazionale di fisica nucleare potrebbero produrre danni pari a quelli visti a “Fukushima, il disastro nucleare più grave dopo Chernobyl”. Tutto falso, ci mancherebbe.

 

Così in Italia si è creata una gara ai servizi tendenziosi, portati avanti dal sensazionalismo a ogni costo: è tutto marcio e soltanto noi ve lo facciamo vedere. Anche un programma considerato serio come Report non è sfuggito alla tentazione. Lo scorso aprile Sigfrido Ranucci ha mandato in onda un servizio di quasi mezz’ora sulle conseguenze del vaccino contro il papilloma virus (Hpv) sollevando questioni sulla sua utilità, insinuando dubbi sulla sua pericolosità. “Bisogna salvare Report da se stesso” ha scritto persino Repubblica il giorno dopo, con Sebastiano Messina.

 

Spesso si accusa La Casta, il best seller dei giornalisti del Corriere della Sera, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, di aver creato un terreno fertile all’indignazione. Ed è vero, quel libro ha contribuito al racconto di un’Italia in cui non funziona niente, dove il potere è in mano ai furbi e al malaffare. Ma non è l’unico responsabile. Le Iene e Striscia, programmi seguitissimi e più influenti di un fondo di Stella, spesso hanno dato sfogo al nostro bisogno di gogna, sbattendo in prima serata il disonesto del momento. E se ogni giornalista è servo, ogni politico corrotto, ogni imprenditore corruttore, ogni opera pubblica pensata per far arricchire gli affaristi (e quindi niente Olimpiadi, non sia mai), è necessario mostrarli in televisione ogni giorno, sempre di più. E se non ci sono, che si inventino pure.

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