Girotondo

Cosa succede a Twitter ora che è in mano a Elon Musk?

Pietro Minto

In che direzione vola il social acquistato dall'uomo più ricco del mondo. Libertà di espressione e fake news, il mercato digitale e quello “tradizionale” di Tesla. Che potrebbe trovarsi i bastoni fra le ruote in Cina

Ora che l’ha comprato, cosa se ne fa? Ne discutiamo con l’aiuto di alcuni foglianti. Non c’è solo la libertà di espressione tra i temi posti da Elon Musk con la sua acquisizione di Twitter: c’è il nodo fra tecnologia, controllo e trasparenza, e la revisione del modello di business del social network preferito da politici e istituzioni. 
 

Musk tra missioni civilizzatrici e proiezione internazionale

Il 19 maggio 2020, con il solito stile rapsodico, Elon Musk ha twittato “Cancelliamo la Cancel Culture!”. A fine dicembre 2021 aveva definito la “cultura woke” e la “cancel culture” come due tra le più importanti minacce esistenziali alla moderna civilizzazione. E così, per Musk, il “virus”, vista l’egemonia dei contenuti politicamente corretti, ha contribuito a rendere Netflix inguardabile. Le novità delle ultime ore vanno quindi lette alla luce della complessità che presentano: c’è innanzitutto un profilo economico e finanziario relativo al futuro della piattaforma e alle iniziative che Musk vorrà prendere. Tuttavia questo profilo è strettamente legato alla missione civilizzatrice che Musk sembra essersi dato, che lo vede scendere in campo nel sempre più polarizzato spazio pubblico statunitense e che, di riflesso, promette implicazioni importanti in tutto il mondo occidentale (e non solo). Cosa accadrà, come ha sottolineato Jeff Bezos, quando i molteplici interessi di Musk potrebbero entrare in conflitto tra loro? Come per esempio quello di essere sempre più presente con Tesla sul mercato cinese, con il Partito comunista che potrebbe chiedere di censurare le critiche nei confronti delle sue politiche. Twitter è quindi, come tutte le aziende del Big Tech, un importante attore geopolitico. Con Musk diventa centrale nella culture war interna agli Stati Uniti relativa ai limiti della libertà d’espressione e alla tutela dei diritti civili. Non sorprende infatti l’azione dei 18 membri del Congresso che nelle more dell’offerta minacciavano future indagini contro il board della piattaforma. Allo stesso tempo, Twitter si proietta nello spazio internazionale per le evidenti implicazioni che non riguardano solo gli Stati Uniti. Non male per una piattaforma che era nata per brevi conversazioni inutili e superficiali. Ma come ci avrebbe ricordato Hegel: “Non c’è nulla di più profondo di ciò che appare in superficie”.

Pasquale Annicchino
 

Sarà il mercato a premiare o punire le scelte di Musk

Come cambierà Twitter dopo che Elon Musk ne avrà preso il controllo? Forse in meglio, forse in peggio, forse per nulla. Musk ha promesso una serie di cambiamenti: maggiore attenzione alla libertà di espressione, nuove funzionalità, la revisione dell’algoritmo rendendone open source il codice, la battaglia contro le orde dei bot e l’autenticazione degli utenti umani. In principio queste innovazioni possono piacere oppure no, ma andranno viste in concreto. Su un piano differente, il takeover di Musk implica un forte cambiamento nella struttura proprietaria di Twitter, che attualmente è controllato da una pluralità di fondi, e forse anche la sua uscita dai listini quotati. 
Il modello di business di Twitter ha sicuramente grossi problemi e un cambio era inevitabile. Pur essendo nato con l’obiettivo di favorire interazioni frequenti e stringate, Twitter è presto diventato un autentico campo di battaglia egemonizzato da squadre con visioni opposte. Così, anziché favorire il confronto, ha finito per promuovere la polarizzazione e lo scontro. Chi lo ha capito, come Donald Trump nel 2016, ne ha tratto enorme beneficio, utilizzando la piattaforma sia per compattare le truppe, sia per fare da cassa di risonanza ai suoi messaggi. La reazione del management di Twitter, che ha estromesso l’ex presidente all’indomani della sua sconfitta elettorale, ha ulteriormente cronicizzato la qualità della discussione. E ancora più hanno fatto le nuove regole, dall’eliminazione dei contenuti ritenuti sconvenienti (per esempio sul Covid) fino alla pratica sempre più frequente dello “shadow ban” per sanzionare i portatori di opinioni “scorrette”. Tutto ciò ha messo in dubbio la natura stessa dello strumento: è una piattaforma aperta e libera oppure di un editore che seleziona i contenuti? 
Musk dovrà rispondere a questa domanda riposizionando Twitter da una parte o dall’altra. Per carità, si tratta di un social network tutto sommato minore: la sua quota di mercato è stimata attorno al 7 per cento, un decimo di Facebook. Però si è rivelato un crocevia importante nello scontro politico, forse anche perché frequentatissimo da opinion- e policy-maker. Il Wall Street Journal ha applaudito alla mossa di Musk, auspicando un migliore equilibrio tra libertà di espressione e moderazione dei contenuti. Altri gridano al colpo di stato, come se oggi Twitter non fosse una piattaforma privata disciplinata da regole in larga parte (e giustamente) fissate unilateralmente dal suo management. 
Alla fine, comunque, sarà il mercato a premiare o punire le scelte di Musk: se la nuova gestione creerà un ambiente più gradevole, gli utenti cresceranno e con loro le entrate pubblicitarie. Altrimenti, se ne andranno verso altri lidi. A chi giudica la vicenda come la fine del mondo, vale la pena rispondere con la filastrocca di Gianni Rodari: “Tutto solo a mezza pagina lo piantarono in asso, e il mondo continuò una riga più in basso”.

Carlo Stagnaro


Trasperanza e guerra ai bot sono le sfide tecnologiche su Twitter

La libertà di espressione è come la pace nel mondo: tutti dicono di volerla, ma nessuno sa esattamente come garantirla. Che a dichiarare di volerci provare sia Elon Musk, con la clamorosa acquisizione di Twitter, ha sollevato legittimi dubbi – ma anche rancorosi pregiudizi – da parte di molti analisti. Il principio ispiratore, o forse l’espediente di comunicazione da usare come falso bersaglio, enunciato da Musk è quello della massima freedom of speech, in aperto contrasto con la prassi recentemente invalsa di adottare processi di moderazione dei contributi sui social media, se non addirittura di imporre forme più o meno blande di controllo pubblico sui contenuti, secondo la strada intrapresa dalla Commissione europea. Difficile per Musk, dopo le sue recenti vicende, allontanare il sospetto che tra le autorità da sfidare sul terreno del controllo delle informazioni ci sia anche la Sec, in quanto responsabile dei mercati finanziari. Il problema di fondo della moderazione centralizzata è la trasparenza dei criteri con i quali vengono ammessi o respinti i contributi degli utenti: l’opacità di tali criteri, se non l’arbitrarietà e soggettività degli stessi, è stata in questi anni oggetto di infiniti dibattiti; che questi criteri siano affidati a una società privata, o peggio a un’autorità statale, costituisce ulteriore elemento di preoccupazione.
La sfida più interessante del progetto di Musk è tuttavia relativa alle scelte tecnologiche di Twitter: l’adozione della logica open source per gli algoritmi e l’innovazione delle funzionalità della piattaforma, che garantirebbero molta più trasparenza e interoperabilità dei dati a quella che egli stesso ha definito una “piazza digitale” fondamentale per una democrazia liberale. Per un social media che oggi basa oltre il 90 per cento dei ricavi sulla pubblicità, allargare la base di ricavi a forme di licenza sui contenuti, se non a un modello freemium, offrendo anche servizi a pagamento, può essere cruciale per ripagare l’enorme debito con il quale è stata effettuata l’acquisizione, anche a fronte dei grandi investimenti che Microsoft, Meta e Google stanno facendo sul fronte del cosiddetto Metaverso.
Il principio enunciato da Musk per cui tutti gli utenti umani andranno identificati è un altro tema che richiede attento scrutinio: se da un lato è condivisibile l’intento di limitare o eliminare del tutto l’attività dei “bot”, spesso utilizzati dai diffusori di fake news per manipolare le opinioni degli elettori e dei consumatori, dall’altro il tema dell’identificazione forzata degli account potrebbe limitare la partecipazione dei soggetti che si trovano esposti alla repressione di stati autoritari.
Il punto debole del progetto di Musk è semmai la discutibile reputazione dello stesso imprenditore, troppo spesso protagonista di comunicazioni al limite della manipolazione di mercato sia sulle proprie aziende sia su temi altamente speculativi come i cryptoasset. Ma se, nonostante i legittimi dubbi sulla credibilità del personaggio, la promessa di proporre al mercato una piattaforma più trasparente e più innovativa sarà mantenuta, Musk avrà ancora una volta sbugiardato i suoi detrattori.

Carlo Alberto Carnevale Maffè


Nell’acquisto di Twitter c’entra più la geopolitica che la finanza

“Domanda interessante. Il governo cinese ha appena guadagnato un po’ di influenza sulla piazza della città?”. A rispondere alla “domanda interessante” posta dal giornalista del New York Times Mike Forsythe, ex corrispondente da Hong Kong, è Jeff Bezos, proprietario di Amazon ed ex uomo più ricco del mondo prima di essere scalzato da Elon Musk: l’oggetto dello scambio di battute. Che incidentalmente si è svolto su Twitter, la fresca preda, per 44 miliardi di dollari, del proprietario di Tesla. Bezos ha poi cercato di precisare, un po’ maliziosamente: “La mia risposta a quella domanda è probabilmente no. Il risultato più probabile è una complicazione in Cina per Tesla, piuttosto che la censura a Twitter. Ma vedremo. Musk è estremamente bravo a navigare in questo tipo di complicazioni”. Forsythe era andato dritto al punto: “Nel 2021 la Cina è stato il secondo maggiore mercato per Tesla, dopo gli Usa. Le fabbriche cinesi di batterie sono i principali fornitori di Tesla. Dal 2009, quando mise Twitter al bando, la Cina non ha quasi nessuna influenza sulla piattaforma. Tutto questo può essere appena cambiato”. In breve l’aspetto finanziario della conquista di Twitter da parte del più outsider, visionario ma anche più lungimirante dei tycoon a cavallo tra ex New Economy e la globalizzazione che combina digitale e intelligenza artificiale, sconfinamenti nello spazio e difesa satellitare dell’Ucraina, ha deviato dal campo del business e delle banche d’affari (Morgan Stanley) alla geopolitica. Un plot cinematografico, o da serie tv. Finanziariamente la mossa di Musk, per i molti che la stanno vivisezionando, ha poco senso. Twitter non era una preda ambita: benché sia il social media con la migliore immagine, il preferito da politici e istituzioni, ha 217 milioni di account contro i tre miliardi di Facebook, e capitalizzava una settimana fa 36 miliardi di dollari contro i 583 di Facebook ed i 1.700 di Google. Il Wall Street Journal osserva che Musk ha comunque pagato cash poco più di un terzo della somma, il resto è garantito da MS e altri investitori abituati a seguire il proprietario di Tesla. E arguisce che spostando il focus sui social media Musk potrebbe razionalizzarne gli introiti. Eppure Twitter ha 7.500 dipendenti, il 10 per cento di Facebook. E generano un milione di dollari a testa, rispetto ai 750 mila di quelli di Tesla. Certo, quest’ultima azienda tradizionale, benché all’avanguardia, non va paragonata a un’industria digitale. Soprattutto, Musk ha sempre smentito ogni diffidenza a cominciare dal futuro dell’auto elettrica. Mentre ha agito con nonchalance tra i regolatori pubblici che lo circondano, in America e in Europa, dove l’Ue annuncia una sfilza di iniziative per proteggere la cybersicurezza e l’identità digitale. Ma la velocità del miliardario rispetto alla lentezza di autorità e concorrenti, la capacità di precorrere e cavalcare gli eventi, è indubbia. Musk dice di aver comprato Twitter in nome della libertà: può essere interpretato in mille modi, dall’abolizione delle restrizioni imposte dal social (vittima più nota: Donald Trump) all’intelligenza artificiale fino al tracciamento di persone, aziende e governi. Che è oggi il fronte delle intelligence mondiali, a cominciare dalla Cina.

Renzo Rosati

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