Foto Epa, via Ansa

qatar 2022

L'ultima partita a scacchi di Messi e Ronaldo

Francesco Gottardi

Ai Mondiali in Qatar i due campioni vivono un canto del cigno diametralmente opposto. Inimmaginabile alla vigilia del torneo

Il Mondiale era iniziato con una partita a scacchi. Messi contro Ronaldo, su una valigetta di Louis Vuitton: "La vittoria è uno stato d'animo", posta su Instagram il portoghese. La foto fa il giro del mondo, diventa la più cliccata di sempre (60 milioni di like) in ambito sportivo. Poi il portoghese rincara la dose: "Se vinco la coppa contro l'Argentina segnando il gol decisivo mi ritiro all'istante". E tutti a fantasticare la finale del secolo, romanzesca chiusura di un cerchio irripetibile: quasi vent'anni di duopolio calcistico, roba da post-atleti. Oggi quella sfida è ancora possibile. Anche se i due goat in Qatar vivono un canto del cigno diametralmente opposto. Inimmaginabile alla vigilia del torneo.

  

Riprendendo la metafora della foto, al momento siamo nel medio gioco: un po' come nella posizione scelta con cura da Louis Vuitton - partita del 2017, Carlsen contro Nakamura, che stanno agli scacchi come Messi e Ronaldo al pallone. Meno due gare all'ultimo atto, sia l'Argentina sia il Portogallo sono tra le migliori otto. Un dato prevedibile, così come qualche ennesimo record qua e là: Cristiano Ronaldo con la rete al Ghana è diventato il primo giocatore della storia ad andare a segno in cinque edizioni diverse dei Mondiali, Messi contro l'Australia ha tagliato il traguardo delle 1.000 presenze in carriera.

 

"Nulla è impossibile, questo è solo l'inizio", lo sfarzo dell'uno. "Pensavo mancasse ancora qualche partita", la nonchalance dell'altro. Diversi in tutto, Cristiano e Leo. Quel che lascia attoniti è il resto. Soprattutto dopo il match inaugurale: entrambi in gol su rigore, ma male, il dieci, disinnescato dall'insospettabile Arabia Saudita, e bene il sette che dà il la alla vittoria dei suoi. Il Portogallo è leggero e Ronaldo forte, tanto da accollarsi l'intera pressione mediatica dopo la frattura con il Manchester United. La cappa di aria pesante è tutta sulla Selección: "Non so se giocherò ancora a lungo", sospira Messi, tra gli spettri di un'altra maledizione mondiale.

   

E invece l'Argentina si rialza. La rialza, anzi, Leo. Meraviglioso contro il Messico. Trascinatore contro la Polonia, nonostante un rigore sbagliato. Da urlo agli ottavi contro l'Australia. E soprattutto gioca sempre: "Se non è lui a chiedermi di uscire, io non mi permetto di toglierlo", sorride il ct Scaloni. Mica timore reverenziale: Messi in questa squadra è ovunque. Metà campo, tre quarti, area piccola. Playmaker e finalizzatore. Palla al piede resta imprendibile, anche a 35 anni. Non esagera Emiliano Martinez, pure autore di una parata provvidenziale nel finale coi Socceroos, quando dice che "Leo è il 99,9 per cento dell'Argentina: il restante 0,1 dobbiamo mettercelo noi". Nel primo Mondiale senza Diego, un'intera nazione è aggrappata al suo dio vivente verso i quarti contro l'Olanda.

  

Dall'altra parte, in pochi giorni Ronaldo è diventato uomo. Che da dio è un downgrade mica da poco. A 37 anni non è più factotum, più indiscutibile. Viene trattato come un calciatore fra gli altri. Sfortunato contro l'Uruguay, perché per millimetri vede sfumare un gol che in un primo momento la Fifa gli aveva attribuito - vallo a spiegare, a chi vive per i record, che il Portogallo poi ha vinto comunque. Ma il crollo è con la Sud Corea. CR7 gioca male, sbaglia diverse occasioni. Così Fernando Santos lo sostituisce: a qualificazione già acquisita, perché no. Eppure Cristiano è stizzito. Prima se la prende con un avversario, quindi col proprio ct. Che non si accorge di nulla. "Ma più tardi ho rivisto le immagini e non mi sono piaciute", spiegherà Santos. I lusitani approdano agli ottavi col boccone amaro di una sconfitta, il morale così così, l'attenzione tentata dalle notizie fantascientifiche (accordo con gli arabi dell'Al-Nassr per 200 milioni a stagione, si dice) attorno al loro ingombrante albero maestro (che smentisce le voci di mercato).

  

Serve una scossa, insomma. E Santos, che non sarà Ronaldo ma da allenatore più vincente della storia della Nazionale gode comunque di un certo credito, dimostra notevole personalità. Va in all-in: fuori CR7. Contro la Svizzera al suo posto gioca Gonçalo Ramos, giovane attaccante del Benfica. Che segna una clamorosa tripletta. Mentre la leggenda sorride amara in panchina, fra i sussulti di tutto lo stadio appena lo inquadrano le telecamere. Un boato, addirittura, quando si alza per entrare nel garbage time. "Che peccato non avere goduto del migliore giocatore del mondo per 90 minuti", scrive la moglie Georgina Rodriguez, e pazienza se il 6-1 del Portogallo è stato il trionfo più largo agli ottavi di finale di un Mondiale dal Dopoguerra in poi. Cristiano invece festeggia giusto un po'. Ma quando la squadra si prende gli applausi della sua curva, lui si fionda negli spogliatoi. Sui social celebra la meglio gioventù del suo Portogallo. All'indomani però si rifiuta di allenarsi col gruppo riserve. Altra ondata di critiche. Più le sibilline dichiarazioni di Santos: "Non sta a me dire se giocherà contro il Marocco".

   

Sarebbe una fine malinconica, senza scomodare la finale. Schiaffo di fragilità in una storia di implacabili numeri. Chi mai - tolti i tifosi delle squadre interessate o i fanatici cultori della personalità - si ricorda di aver esultato per un gol di Messi o Ronaldo, uno fra tanti, fra troppi, negli ultimi due decenni? Ora invece, pure nello spettatore neutrale subentra una strana compassione: speriamo che Leo faccia la magia, che Cristiano non finisca in fuorigioco. Perché questi due col pallone hanno fermato il tempo, come Prometeo rubò il fuoco agli dèi. Fino a diventare più mito che uomo, appunto. Continuare a segnare vuol dire tenere le lancette ferme. Anche per noi che guardiamo: che l'illusione si consumi in una notte di Doha, un'ultima volta sulla scacchiera. Non è la direzione che prenderà il calcio, ma è quella che ha preso finora. E per questo piace a tutti. Soprattutto a Messi, soprattutto a Ronaldo.