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Saverio ma giusto

In tempo di riforme strutturali, una proposta: via la cucina dalle nostre case

Saverio Raimondo

Ci sarebbero benefici economici e sociali: risparmi su ogni voce di spesa domestica e calo drastico delle liti familiari. E mangiare al ristorante mette joie de vivre ed è più sostenibile. Scavolini? Ha già i mobili e gli allacci, si converte in catena di fast food

Visto che finalmente si può (anzi, si deve!) parlare di riforma catastale, ripensare il fisco, rivedere il nostro stile di vita, ridistribuire le risorse, mettere mano a riforme strutturali che abbiano impatto sulle persone e sulla società, e non da ultimo creare lavoro e impresa sfruttando le risorse europee, lancio qui una proposta concreta, un piano ambizioso e rivoluzionario che può cambiare le nostre vite in modo vantaggioso e più sostenibile: eliminiamo la cucina dalle nostre case. Sì care amiche e cari amici, avete letto bene: via la cucina da tutte le case! E con essa il lavandino, la lavastoviglie, la cucina a gas o il piano a induzione; può restare (da collocare dove meglio si crede, a questo punto anche in  bagno) giusto un frigo ma più piccolo, tipo frigobar nelle camere d’albergo, per tenere in fresco l’acqua minerale o quei medicinali che vanno conservati a certe temperature. Per la colazione, il pranzo o la cena ci sono bar e ristornati che dovranno, s’intende, garantire servizio h24 e aggiungere alla loro offerta anche un “menù bambini piccoli” fatto di pappe e omogeneizzati, per chi è svezzato ma non ancora dentato.

Ovviamente resterebbe sempre permesso l’asporto, delivery o take away: a essere illegale sarebbe solo la detenzione domestica della cucina, non della sala da pranzo. Eliminare la cucina dalle case significa ridurre drasticamente consumi privati e incidenti domestici (si calcola un -98 per cento di dita tagliate, ustioni e fughe di gas), ma anche una significativa diminuzione di liti famigliari giacché fornelli, piatti da lavare e spazzatura da buttare sono motivi di attrito più che di convivialità. Mangiare fuori invece è sicuro, garantito dall’ufficio d’igiene e dai Nas dei Carabinieri; aiuta la parità di genere (andando sempre al ristorante non c’è da fare spesa né da cucinare, e nessun* deve mettersi a fare la massaiaə per il resto della famiglia); mette allegria e joie de vivre; ed è più sostenibile, non solo per l’ambiente. Economicamente, l’abrogazione della cucina dalle case sarebbe vantaggiosissima: una casa senza cucina né angolo cottura è una casa dove si risparmia su ogni voce di spesa domestica (dalle bollette alla spesa). E con la stanza – o angolo – guadagnati si possono fare una sala hobby, una camera da subaffittare o crescere un figlio, oppure avere finalmente uno spazio adibito allo smart working.

Bandire le cucine da tutte le case significa affari d’oro e lavoro garantito per il settore della ristorazione, ai quali sarà ovviamente concesso di mantenere tutti i dehor per fare fronte alla domanda. In cambio, oltre a una riduzione dei prezzi (e del sale nelle pietanze, sennò è emergenza sanitaria), il settore della ristorazione si fa carico di maggiori oneri fiscali, bilanciando cioè lo sgravio al quale tutti i cittadini andranno incontro – è chiaro infatti che una casa senza cucina varrà di meno; ma ne guadagnano tutti, anche in qualità della vita. Certo, ci saranno ricadute occupazionali: la Scavolini o chiude (tanto gli operai verrebbero tutti assunti come camerieri, ci sarà moltissima domanda e stipendi giocoforza alti) oppure, già che hanno tutti quei mobili da cucina, fanno gli allacci e convertono i negozi in una catena di fast food – biologici, ci mancherebbe. Gli alimentari e i banchi del mercato diventano fornitori dei ristoranti, o ristoranti a loro volta – possono anche non fare i lavori per la cucina e aggiungere solo i tavoli, tanto ormai il crudo va tantissimo, di qualsiasi alimento, persino la pizza adesso va di moda non cuocerla più e mangiarsi l’impasto. Se siete d’accordo con questa rivoluzione, stasera cena svuotafrigo e da domani tutti al ristorante.

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