L'intervento

La riforma del catasto non è una stangata

Luigi Marattin

La rappresentazione macchiettistica di queste settimane non è accettabile. E gli eventuali interventi non avranno effetti generalizzati, sulla prima casa non c'è nessun pericolo. Ci scrive il presidente della commissione Finanze

Si scrive “riforma del catasto”, si legge “vediamo-se-la-politica-cambia-davvero-o-se-vuole-rimanere-agli-slogan-tra-curve-ultrà”. Sull’ipotesi di aggiornamento delle rendite catastali – ferme ai valori del 1978 per i terreni e al 1988 per i fabbricati – si è infatti scatenata una caciara degna delle peggiori occasioni. Gli ingredienti ci sono tutti: coloro che spacciano il loro piccolo interesse particolare per generale, giornalisti ansiosi di sparare il titolo a effetto per vedere di nascosto l’effetto che fa, partiti capaci solo di andare a rimorchio dello slogan più accattivante. Una premessa è d’obbligo. Chi scrive è genuinamente convinto che il catasto non occupi nessuna delle prime dieci priorità nella riforma del fisco italiano. Non perché il tema non sia di per sé importante, ma perché il sistema fiscale italiano è messo talmente male che ci sono molte altre cose più urgenti a cui dedicare energie e capitale politico. E tutte hanno a che fare con il semplificare e l’alleggerire il peso fiscale su tutto ciò che produce crescita.

 

Ma ciò non significa che la rappresentazione macchiettistica di queste settimane sia accettabile. Essa dice sostanzialmente due cose: che con una eventuale riforma ci sarà una stangata sulla casa e che essa coinvolgerà tutti i proprietari di immobili. Nessuna di queste affermazioni è vera. La “stangata” generalizzata sulla casa non esiste: in Italia sul possesso dell’abitazione principale non si pagano tasse. Né di natura patrimoniale – tranne le pochissime abitazioni classificate “di lusso” – né reddituale. Siamo uno dei pochissimi paesi al mondo ad avere questa caratteristica, e chi scrive è convinto che vada bene così. Sulla prima casa, dunque, nessun pericolo. Ma il “pagheranno caro, pagheranno tutti” ci sarebbe forse sugli altri immobili? Come ha ricordato Draghi in conferenza stampa, la base imponibile dell’Imu è ormai quasi completamente casuale. Non solo i valori di partenza (le rendite catastali) risalgono a diversi decenni fa, ma nel 2012 il governo Monti impose un incremento lineare del 60 per cento dei coefficienti catastali per tutti gli immobili. Così facendo, le sperequazioni dovute alle differenze originarie sono state rese ancor più gravi ed evidenti. E come se non bastasse, il pesante choc immobiliare del decennio scorso ha ulteriormente confuso il quadro.

 

Aggiornare la base imponibile a parità di gettito complessivo è banale. Se ho una base imponibile di 100 e un’aliquota del 10 per cento, il gettito aggregato è 10. Se, a seguito dell’aggiornamento, la base imponibile fosse 200, basterebbe ridurre l’aliquota al 5 per cento per avere sempre lo stesso gettito di prima. Certo, qualcuno pagherebbe di più, qualcun altro di meno. Ma chi? Coloro i quali – e sono tanti – posseggono immobili il cui valore ha subìto un forte crollo pagherebbero molte meno tasse: beneficerebbero infatti sia di una base imponibile più bassa sia di un’aliquota nazionale inferiore. Ma anche coloro che vedrebbero il proprio immobile mantenere sostanzialmente lo stesso valore (o persino incrementato di un po’) finirebbero per risparmiare: anche su costoro, infatti, prevarrebbe l’effetto benefico della nuova, inferiore, aliquota. È facile immaginare che in queste categorie rientri non solo la piccola proprietà immobiliare, ma anche i piccoli negozi e persino alcuni capannoni industriali, per non parlare degli immobili sfitti o in zone non centrali. A pagare un po’ di più sarebbero solo quelli che vedrebbero i propri valori immobiliari eccedere la vecchia rendita in maniera maggiore rispetto alla rivalutazione nazionale: vale a dire coloro che si trovavano in una palese situazione di privilegio, che magari utilizzavano per accedere – tramite l’Isee – a servizi a domanda individuale a cui invece non avrebbero avuto diritto, togliendolo ad altri.

 

Ma nulla di tutto questo accadrà. Il governo pare semplicemente intenzionato ad avviare un processo (che comunque durerà anni) per fare una fotografia aggiornata e accurata dei valori immobiliari, per capire se e quanto differiscono dai valori su cui ora si paga l’Imu. Per poter essere in grado di valutare gli effetti redistributivi di una eventuale futura operazione, nonché gli effetti sulla finanza locale (l’Imu infatti finanzia i trasferimenti agli enti locali). Nel frattempo, tutti continuerebbero a versare l’imposta con le regole attuali, proprio per evitare che ci sia anche un solo contribuente a pagare di più. Il catasto non è una priorità. Soprattutto se provoca ritardi nell’approvazione di una legge delega che dovrà portare a un fisco più semplice e leggero per chi lavora. Ma se la politica italiana vuole cambiare davvero, non può più permettersi di farsi dominare dallo slogan e dai messaggi acchiappavoti. Avevo capito che quella fase era finita per sempre. Mi sbagliavo?

 

Luigi Marattin, deputato di Italia viva, presidente della commissione Finanze

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