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Saverio ma giusto

Con la riforma del fisco passeremo dai No vax ai No tax

Saverio Raimondo

Il rifiuto italiano nei confronti delle tasse è leggendario, quasi quanto l’incapacità da parte dello stato di mettere a punto un sistema fiscale pratico e sensato. Una proposta: trasformare tutto in un gioco d’azzardo collettivo. Magari gli italiani prendono il vizio

Il governo e il Parlamento, dopo tanto stato di emergenza e straordinarietà varie ed eventuali, ora si dovranno occupare e confrontare su qualcosa di altrettanto urgente ma un po’ più ordinario come la riforma fiscale. Il Pd propone di aumentare l’imposta di successione sui grandi patrimoni (anche Enrico Letta come Alexandria Ocasio-Cortez sta pensando di farsi scrivere “Tax The Rich” da qualche parte, ma non avendo eventi mondani in vista né in generale la possibilità di indossare un abito lungo l’idea è quella di farselo tatuare in faccia tipo Achille Lauro); Matteo Salvini insiste sulla flat tax ma in questo momento non lo ascolta nessuno, manco Siri; Italia Viva vorrebbe trasformare il reddito di cittadinanza in uno sconto sulle tasse ai meno abbienti, o altre offerte tipo “Imposte tutte a 1 euro” o “Dichiara due che te ne tasso uno”. 

  

 

Io credo che anche in questo frangente si possa fare Tesoro (notare la maiuscola) di quanto abbiamo affrontato – e imparato – nell’ultimo anno e mezzo. Del resto, la situazione fiscale italiana non è molto diversa da quella pandemica: da una parte i No vax, dall’altra i No tax. Il rifiuto italiano nei confronti del fisco è leggendario, quasi quanto l’incapacità da parte dello stato di mettere a punto un sistema fiscale pratico e sensato: un po’ com’era quest’autunno/inverno con la campagna vaccinale – le Primule, le categorie, i No mask. E se affidassimo anche gli accertamenti fiscali al generale Figliuolo, con il compito di scovare gli evasori come gli indecisi? Dite che la Guardia di Finanza si offende se appaltiamo la logistica dei controlli e la riscossione delle cartelle esattoriali al Corpo degli Alpini? Vabbè, allora però estendiamo il green pass: solo chi è in regola con il fisco può entrare in uffici e strutture pubbliche (pagate appunto con i soldi dei contribuenti) e usufruire dei servizi erogati dallo stato. Del resto, l’obbligo di pagare le tasse c’è già – così il prof. Barbero è contento. Inoltre sai che passo avanti per la digitalizzazione fiscale! 

 

Oppure, si potrebbe lavorare su un provvedimento meno “severo”, più “seducente”: qualcosa che comunque induca il contribuente evasivo a pagare le tasse, ma in modo meno coercitivo e più “culturale”, antropologico persino. Sto parlando del gioco d’azzardo: potremmo trasformare le tasse in una grande lotteria di stato, dove il cittadino passa da contribuente a giocatore. Non sarebbe la prima volta che il gioco d’azzardo viene in soccorso ai conti pubblici italiani, negli ultimi anni sempre più spesso salvati dalle imposte sulle slot machine. Qui però si tratterebbe di una riforma vera e propria, che trasformerebbe il fisco in un gioco d’azzardo collettivo e il ludopatico in un contribuente modello. Si passerebbe così dalla dichiarazione dei redditi all’estrazione dei redditi; dalla schedina sulle partite di calcio a quella sulle partite iva; Lottomatica al posto di Equitalia, e cartelle esattoriali Gratta e Vinci – ti può dire bene come ti può dire male, può uscire un credito con l’erario come un accertamento perpetuo, occhio solo al tabaccaio del vostro commercialista. Così facendo io credo che gli italiani prenderanno finalmente il vizio delle tasse, e butteranno tutti i loro risparmi in 740. Ovviamente lo stato si fa banco e, si sa, il banco vince sempre. 

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