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Bus e metro piene

Dopo tanto parlare il trasporto locale è ancora un problema per il virus

Luca Roberto

Con il rialzo nella curva dei nuovi casi di Covid, preoccupano bus e metro piene. Che la situazione fosse critica lo si sapeva da tempo: per ridurre il rischio non basta la mascherina, serve ripensare la mobilità delle persone

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Che dal trasporto pubblico potessero passare molte delle apprensioni a mano a mano che l'Italia passava dal lockdown alle varie fasi di riapertura, lo si sapeva dall'inizio dell'emergenza sanitaria. Quando cioè esperti, amministratori delle società ed esponenti di governo nazionale e locale si interrogavano su come sarebbe stato possibile far rispettare rigorose misure di distanziamento in luoghi di per sé promiscui, specie nelle metro e su alcune linee bus delle grandi città.

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Che dal trasporto pubblico potessero passare molte delle apprensioni a mano a mano che l'Italia passava dal lockdown alle varie fasi di riapertura, lo si sapeva dall'inizio dell'emergenza sanitaria. Quando cioè esperti, amministratori delle società ed esponenti di governo nazionale e locale si interrogavano su come sarebbe stato possibile far rispettare rigorose misure di distanziamento in luoghi di per sé promiscui, specie nelle metro e su alcune linee bus delle grandi città.

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A quasi un mese di distanza dalla riapertura delle scuole i mezzi pubblici viaggiano con un limite di affollamento fissato all'80 per cento. Nelle settimane in cui questa soglia doveva essere stabilita da un accordo nella conferenza unificata dei servizi, le richieste erano opposte: da una parte le aziende del trasporto pubblico locale chiedevano l'uniformazione con il trasporto aereo, che già allora operava con un regime di riempimento del 100 per cento dei posti – "Il ricambio d'aria, dei filtri, l'apertura delle porte, sommata ai minuti di permanenza a bordo, consentono di aumentare la capacità di carico e di sicurezza", aveva detto al Foglio il presidente di Asstra, Andrea Gibelli. Dall'altra il comitato tecnico scientifico premeva perché la decisione fosse riguardosa della cautela che fin lì era stata osservata per limitare il contagio. Alla fine si è giunti a un compromesso, che però qualcuno ha interpretato come una sorta di “liberi tutti” mascherato. “Nessuno ci proverà neanche a fare dei controlli. Intanto perché non ci sono gli strumenti per farlo, e poi perché con tutte le eccezioni alla regola alla fine l'unica novità sarà indossare la mascherina, mentre per il resto ci ritroveremo a viaggiare come prima” aveva detto al Foglio Carlo Scarpa, docente di Economia politica all'Università di Brescia e presidente di Brescia Mobilità.

C'è voluto poco quindi perché le immagini dei vagoni della metropolitana stracolmi di passeggeri o degli autobus in cui si viaggia gomito a gomito con il vicino riaccendessero le attenzioni di chi vigila sull'applicazione dei protocolli sanitari. I mezzi pubblici “sono fonte di grande preoccupazione. Il distanziamento è ancora più importante in questa fase”, ha confessato nei giorni scorsi Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani, rendendo pubblica una preoccupazione che dentro di sé si ripete la gran parte degli utenti del trasporto pubblico locale: e cioè che i limiti prescritti siano abbondantemente superati e resi inutili dalla mancanza di controlli.

 

Ecco perché, con il costante incremento giornaliero dei casi, s'è provato a ragionare su quali potrebbero essere le soluzioni attuali per sottodimensionare il rischio di contagio nel tragitto casa-lavoro o casa-scuola. “Da subito, come misura di buon senso, si possono parametrare gli ingressi nelle scuole, nelle fabbriche e negli uffici pubblici modulandoli in base alla capienza dei mezzi pubblici", è stato il consiglio di Vaia. Del resto ai primordi dell'emergenza era stata la stessa task force guidata da Vittorio Colao a suggerire uno scaglionamento orario nell'ingresso e uscita dal lavoro o delle attività commerciali: soluzione in larga parte disattesa da parte delle aziende, che al massimo per decongestionare i trasporti hanno fatto ricorso allo smart working.

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Nell'interlocuzione tra governo e regioni s'era anche fatto un vago riferimento alla figura del delivery manager, su cui scuole e aziende avrebbero dovuto puntare per ripensare la mobilità cittadina. Ma come spiega al Foglio Andrea Pasotto, Responsabile area pianificazione strategica di Roma Servizi per la mobilità, “non è facile promuoverne la nomina visto che la legge non prevede una azione sanzionatoria per le scuole e le aziende inadempienti. Ad oggi comunque la rete dei mobility manager scolastici e referenti delle scuole in tema di mobilità a Roma conta circa 60 istituti comprensivi e circa 50 scuole secondarie per una popolazione studentesca di circa 70.000 unità”.

 

 

Ma come si può alleggerire il rischio contagio in un momento come questo in cui la curva è tornata a salire e c'è il rischio che i mezzi pubblici si trasformino in focolai? “La leva principale connessa alla mobilità casa-lavoro è rappresentata dallo smart working e dalla elasticità degli accessi ed uscite dalle sedi di lavoro", continua Pasotto. "Altre azioni strategiche sono rappresentate dallo sviluppo della ciclabilità e dai numerosi servizi di sharing diffusi sul territorio”. Sono soluzioni temporanee e parziali, ma sicuramente più rapide rispetto all'idea di dotare le società di trasporto pubblico di una nuova flotta mezzi e di nuovi autisti in tempo per le settimane a venire.

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