Foto di Roberto Monaldo, via LaPresse 

Il commento

Elly modaiola e convenzionale. Per essere competitiva dovrà convertirsi al realismo

Giuliano Ferrara

Meloni ha un vantaggio sulla sfidante: solida gavetta di partito e una coalizione. Schlein è una figurina che allude al futuro perché non ha in pugno il presente: per battere la premier dovrebbe riportare su un piano concreto le battaglie identitarie di minoranza sui diritti

Ci si domanda se Elly Schlein possa sorprendere e convincere oltre il perimetro dei suoi elettori interni, di partito. Escluderei. Sebbene il suo essere un genere scontato e per sua natura un po’ effimero possa temperarsi nell’assunzione del ruolo di numero uno: c’è gente che impara presto la differenza tra la cifra di una candidatura entusiastica, un poco vuota, e la conduzione dal vertice di una complicata o quasi disperata operazione politica di riassetto e rilancio, cosa che richiede un pieno di razionalità e astuzia politica.

 

Il suo sostenitore Dario Franceschini è considerato un bonzo inamovibile; in realtà per tanti anni, consegnandosi al duro lavoro di ministro dei Beni e delle attività culturali, svolto più che dignitosamente, ha aderito a un modello alla francese, di lunga gittata, che punta su idee e buona gestione, senza inseguire incarichi politicisti anche più corposi e gerarchicamente superiori in peso istituzionale, buon segno di amore non politicista per la politica. Può dare buoni consigli a chi non voglia limitarsi al fuoco d’artificio di una notte e invece durare e costruire. Detto questo, il personaggio Schlein è modaiolo, convenzionale, una figurina un tanto aliena che allude al futuro e al ricorrente “sogno” perché non ha un passato importante e non tiene in pugno il presente. 

 

Meloni ha un vantaggio: solida gavetta di partito, una coalizione naturalmente vincente una volta superati gli scogli del tardo berlusconismo e del salvinismo, il mito ben coltivato dell’opposizione solitaria, l’ideologia italiana dell’uomo e della donna comuni (madre, cristiana eccetera), un passato remoto rifritto e revisionato con radici profonde nell’autobiografia della nazione. Con la sua posizione sulla guerra e l’occidente euroatlantico ha spiazzato tutti, radicato un’identità lontana dal culto dell’uomo forte e del fascismo, e il resto cerca ora di farlo come erede potenziale perfino del fenomeno Draghi in un quadro istituzionale per il momento senza macchia (salvo qualche innocua sbavatura).

 

Schlein, che non è al centro di una affermazione vittoriosa nelle urne e di alleanze obbligate ma è anzi figlia di una sconfitta e di uno scompaginamento del centrosinistra, parte in svantaggio nella gara simbolica con l’altra donna e, per essere competitiva e significativa, dovrebbe anche lei, proprio come Meloni, convertire al realismo e a una piattaforma generalista le battaglie identitarie di minoranza sui diritti, sulla vena lgbtqi+, sul precariato; inoltre, la posizione da tenere su guerra e occidente, centrale ora e presumibilmente per lungo tempo, spalanca su di lei, se non avesse la forza di resistere alle confuse sirene del cosiddetto pacifismo, un abisso di irrilevanza (per non parlare del significato etico-politico). Quanto al blocco sociale di riferimento, auguri, ma non sembra interessante per l’Italia reale dell’economia e del lavoro una figura volatile impegnata sul mito gonfiato della lotta ideologica alle diseguaglianze. Si vedrà.

 

Fossi un Renzi o un Calenda, starei attento a non festeggiare l’elezione di Schlein in modo furbesco e di piccolo cabotaggio. Vero che il possibile fallimento di Schlein, la sua mancata conversione alla politica, aprirebbe spazi a un partito dei riformisti e dei liberali di governo. Il problema è che Renzi, che aveva il fuoco nella pancia, oltre a un talento di manovratore, è rimasto solo con il secondo carattere, ammaccato nell’immagine e duramente contrastato nell’opinione progressista (con tutte le sue amenità e falsità d’opinione).

 

Calenda eccede in pedagogismo e la sua idea della politica come di un incontro di lavoro per la delega a un amministratore competente, che prende il paese sul serio (caratteristica così poco nazionale il prendersi sul serio), è piuttosto freddina, di una temperatura appena superiore al tiepido degli ultimi segretari del concorrente Pd, ma senza il calore generazionale e movimentista, malgrado i suoi encomiabili sforzi, di quell’usuale gioco della speranza e del sogno in cui Schlein si annuncia specialista.

 

La vocazione pensosa e realista può, è vero, gareggiare con quella prefigurante e utopica alla quale facilmente si può autoconsegnare la candidata del futuro condannata a scontare i sogni nell’ordinario presente, ma la forza della destra è nell’avere provvisoriamente trovato con Meloni una terza via, una via media tra vocalità d’opposizione e pragmatismo di governo. E il futuro reale dei riformisti e della Schlein, nella corsa al primato e alla guida di una oggi improbabile coalizione, dipende dalla capacità di emulare e alla fine battere questa destra e non quella immaginaria delle fobie varie di centrosinistra.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.