Verso le primarie

La richiesta della base al Pd: che sia una leadership identitaria, non carismatica

Marianna Rizzini

Il dibattito attorno al questionario "Bussola". Le polemiche sullo slittamento delle primarie e sull'eventuale allargamento alla votazione online. Orfini: "Il voto non può essere sostituito da un click" 

Erano i primi di dicembre quando, sulla strada accidentata del congresso Pd, è comparso il cosiddetto questionario. Un nome altisonante (“Bussola”) per un compito difficile: sondare gli iscritti con domande a risposta multipla, e con analisi della sconfitta di settembre e autoanalisi prospettica su leadership, temi e assetto partitico futuro, per poi far elaborare il tutto da Ipsos e darlo in pasto al Comitato che deve riscrivere il Manifesto dei valori.

Le lunghe domande, aperte anche a cittadini esterni interessati, cercavano di sondare la pancia del partito, in particolare rispetto all’indirizzarsi verso un “di più” di riformismo oppure verso un “di più” di sinistra-sinistra, con tanto di riflessione del rispondente sulla “missione” del Pd. E in questi giorni, nel bel mezzo del dibattito (anche a tratti feroce) su primarie da far slittare e da svolgersi più o meno on line, il questionario, anche se soltanto in parte analizzato nelle risposte, visto che la consultazione è ancora in corso fino all’8 gennaio, fornisce qualche indizio ai naviganti-candidati e al Comitato stesso (si volevano domande “processabili”  e non soltanto un dibattito politico generale, è il concetto).

E la risposta della base, finora — questo emerge da un primo studio dei dati, dicono al Nazareno — è “molto buona”, tenendo anche conto del periodo natalizio. Al 5 gennaio si contavano dunque oltre 15 mila compilazioni (l’obiettivo minimo era diecimila). A fine dicembre, da una prima analisi, la “Bussola” sembrava indicare la preferenza degli iscritti e dei simpatizzanti per una leadership identitaria rispetto a una leadership carismatica. Per esempio: sulle prime 6000 risposte, la maggioranza assoluta ritiene che la missione del nuovo Pd debba essere “la lotta alle disuguaglianze e la promozione di una transizione ecologica socialmente giusta”.

Tra le priorità (con più risposte possibili) il 56 per cento pensa che il Pd “debba battersi per una sanità universale per tutti”, il 51 per la lotta al cambiamento climatico, il 47 per la lotta all’evasione fiscale, il 45 per la riduzione delle disuguaglianze e il 43 per il rafforzamento dell’istruzione pubblica. Soltanto il 9 per cento pensa che il ruolo del leader sia “il fattore determinante della vita e dell’esistenza del Pd”, contro il 35 che ritiene siano i valori e contro il 34 che sceglie le “proposte concrete”. In attesa dei dati definitivi e dei dibattiti in assemblee e circoli (la “Bussola” dovrebbe servire anche ad orientarli), nel partito, accusato in parte proprio dalla base di aver messo in piedi un percorso congressuale  troppo lungo e complesso (ma al Nazareno si insiste sul fatto che è il contrario, e che è stato anche modificato lo statuto per rendere la consultazione più agile e più ampia), si attende mercoledì 11, data della prossima direzione.

Su cui, dall’esterno, incombe la polemica sul rinvio della data delle primarie (Lazio e Lombardia chiedono infatti lo slittamento e i candidati alla segreteria si sono detti disponibili a portare la consultazione al 26 febbraio, per evitare l’eccessiva vicinanza alle elezioni regionali). Soprattutto, incombe il dibattito sulla suddetta richiesta di apertura al voto on-line per le stesse primarie (dal lato Elly Schlein in particolare).

C’è chi, come il deputato dem Marco Furfaro, considera l’apertura alla consultazione anche in rete “questione di democrazia” (“la politica e la sinistra vivono con la partecipazione. Siamo nel 2023, le milioni di firme per gli ultimi referendum, raccolte ai banchetti ma anche con lo spid, dimostrano che c’è tanta voglia di partecipare alla vita pubblica. Abbiamo il dovere di favorirla”, dice Furfaro, sulla scia di Schlein, che vuole appunto primarie anche online “per allargare”).

Ma c’è anche chi, come il deputato Matteo Orfini, esprime dubbi: “Leggo che si sta discutendo di fare le primarie per la segreteria del Pd consentendo il voto online”, scrive Orfini su Facebook: “Io capisco che per molti ormai politica e like sui social sono la stessa cosa. Salvo poi scoprire quando si vota che ai like spesso non corrispondono voti. Capisco che si voglia cercare tutte le strade per rilanciare un partito che vive oggettivamente un momento di difficoltà. Ma eleggere la guida di un partito è una cosa seria. Noi già lo facciamo nel modo più aperto possibile, consentendo (giustamente) praticamente a chiunque di venire a votare nelle primarie aperte. E anche (giustamente) a chi fino a pochi giorni prima dell’apertura non era nemmeno iscritto di candidarsi a guidarlo. Ma appunto, almeno quel gesto minimo di uscire di casa, cercare il gazebo, guardare negli occhi i nostri militanti (e magari ringraziarli perché sono lì da mattina a sera) e votare non può essere sostituito da un click”. Si attendono le decisioni al vertice (non senza doléances sui territori).  

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.