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l'intervista

“La riforma del Rdc è demagogica, nega il ruolo del mercato”, ci dice Seghezzi

Valerio Valentini

“In una fase economica così complicata, davvero ci si illude che ci siano così tante imprese, e così in salute, da poter assorbire tutta questa mole di presunti occupabili nel giro di otto mesi?”, si chiede il presidente della fondazione Adapt 

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L’ambizione è così alta che risulta velleitaria. “Fornire in otto mesi, a circa 400 mila persone, quei corsi di formazione e di avviamento al lavoro che non si è riusciti a fornire loro in quattro anni”. Insomma, più che velleitaria, un poco farlocca, come ambizione. “Diciamo che è una riforma fatta in modo precipitoso, e dai chiari tratti demagogici”, dice allora Francesco Seghezzi, uno dei massimi esperti italiani di mercato del lavoro, presidente della fondazione Adapt, che raccoglie l’eredità di Marco Biagi. La riforma in questione è quella del Reddito di cittadinanza: l’idea, cioè, di sospendere il sussidio a partire da settembre 2023 a tutti i percettori considerati “occupabili”, in vista di una più sostanziale riprogrammazione della misura da varare nel 2024.

 

“E già questo è un problema”, dice Seghezzi. “Fare affidamento in modo così convinto, nell’ottica di una riforma così delicata, alla categoria degli ‘occupabili’, senza tenere conto che i parametri che concorrono alla definizione sono, e non da oggi, alquanto fumosi. Non è affatto detto che chi ha meno di 30 anni sia di per sé occupabile, né che lo sia chi ha in famiglia una persona che lavora né tanto meno che lo sia chiunque abbia lavorato anche un solo giorno negli ultimi tre anni”. C’è di più, però. “C’è l’illusione che basti davvero organizzare per queste persone, che spesso hanno gravissimi problemi sul piano personale, economico e famigliare, un corso di formazione di cinque o sei mesi, credendo che tanto basti a renderle pronte a entrare nel mercato del lavoro. Ma quand’anche così fosse, davvero saremmo in grado, da gennaio, di offrire questi percorsi formativi a quasi mezzo milione di persone? Coi centri per l’impiego ancora in fase di ristrutturazione?”.

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Bisognerebbe potenziarli. E forse anche di questo la ministra Marina Calderone, che lunedì ha convocato una riunione con tutti gli assessori regionali al Lavoro, dovrà intervenire. “Certo, e le risorse, anche grazie al Pnrr, ci sarebbero pure. Da due anni vanno avanti i concorsi, alla fine del processo ci saranno quasi 12 mila persone in più, a regime. Ma serve tempo, ovviamente. E poi bisognerebbe sollevare i formatori da tutte le incombenze burocratiche che gravano sulle loro spalle. E poi si dovrebbe, una buona volta, integrare la rete dei Cpi con quella delle agenzie private, specie nella fase di incrocio tra domanda e offerta. Ma c’è di più”.

 

Ovvero? “C’è la necessità di prendere atto che il mercato del lavoro, in Italia, è quello che è. In una fase economica così complicata, davvero ci si illude che ci siamo così tante imprese, e così in salute, da poter assorbire tutta questa molte di presunti occupabili nel giro di otto mesi?”. Inverosimile? “Assolutamente. E del resto, nelle bozze della legge di Bilancio circolate finora, il capitolo dedicato alla formazione prevede che non basti affatto frequentare i corsi di formazione per garantirsi l’accesso al sussidio. Tu fai il corso, quindi, ma se poi non trovi un lavoro, il Reddito ti viene sospeso. Da questo punto di vista, mi pare che quella del governo sia una proposta di riforma che nega il ruolo del mercato. E forse, un poco, sembra ignorare anche le dinamiche reali del lavoro attuale”.

 

In che senso? “Parto da un dato. Quasi un quinto dei percettori del Reddito ha già un lavoro, per lo più part-time, e vanta un Isee così basso da mantenere il diritto a percepire il Rdc come integrazione. Questa è la dimostrazione plastica di quanto, oggi, avere un lavoro, di per sé, non basti affatto a garantire un’uscita da una situazione di indigenza”. Il famigerato lavoro povero, insomma. “Esatto. Chi ha un lavoro di poche ore al giorno, e magari guadagna qualche centinaio di euro appena, lo consideriamo un soggetto non a rischio di povertà? Anche in questo senso, i parametri sulla base dei quali si pretende di riformare il meccanismo del Rdc mi paiono molto fumosi, frutto di un’analisi alquanto approssimativa. L’alibi a cui il governo ricorre è quello dello della fretta: hanno dovuto fare tutto di corsa. “Vero. Ma da anni contestano questo Rdc: avrebbero ben avuto il tempo di pensare a un’alternativa”. 

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